Euromaidan è stato l’evento spartiacque che ha consacrato l’entrata dell’Ucraina nel blocco occidentale con conseguente fuoriuscita traumatica dal mondo russo. Il presidente Zolodymyr Zelensky sta portando avanti il percorso inaugurato dal blocco europeiste e della rivolta, approfondendo il dialogo con l’Unione europea e con la Nato, e sta dedicando una parte sostanziale dell’agenda estera al miglioramento dei rapporti con la Turchia, con la quale condivide diversi interessi, questione tatara in primis.

L’islam nell’agenda di Zelensky

Il 18 maggio le autorità di Kiev e Ankara hanno commemorato la deportazione dei tatari di Crimea, avvenuta nel 1944 su ordine di Stalin come punizione per il loro presunto collaborazionismo con i nazisti durante l’occupazione dell’Ucraina. Il ricordo dell’evento, la cui memoria storica viene preservata e trasmessa di generazione in generazione, è oggi rafforzato dall’acquisizione di una dimensione politica, essendo entrato a pieno titolo nel panorama delle “guerre della memoria” (memory warssulla Seconda guerra mondiale fra Occidente e Russia.

Ciò che viene dipinto come un trasferimento forzato di popolazione da parte russa, per i tatari, gli ucraini e i turchi è ritenuto un vero e proprio genocidio e, infatti, il 18 maggio è celebrato come “giorno del ricordo per le vittime del genocidio dei tatari di Crimea”. Quest’anno, il presidente ucraino ha voluto sfruttare l’occasione della ricorrenza per fare un annuncio speciale: due importanti date del calendario islamico, la festa del sacrificio (īd al-aḍḥā) e la festa dell’interruzione del Ramadan (ʿīd al-ṣaghīr), godranno da ora in avanti di riconoscimento ufficiale, diventando a pieno titolo festività nazionali.

Secondo Zelensky, questo riconoscimento, rappresenta una tappa fondamentale nella costruzione di una nuova Ucraina, all’interno della quale “chiunque possa sentirsi cittadino”, e nella protezione della minoranza tatara “non solo a parole, ma anche a livello legislativo”. L’annuncio è stato fatto alla presenza di una delegazione ufficiale della comunità tatara, guidata da Mustafa Abdülcemil Qirımoglu Dzhemilev, l’attuale presidente del Congresso dei Tatari di Crimea (Mejlis).

Il capo di Stato ucraino ha anche annunciato la creazione di un gruppo di lavoro, all’interno dell’Ufficio della Presidenza, che avrà l’obiettivo di mantenere viva l’agenda tatara, presentando periodicamente rapporti inerenti le condizioni di vita della minoranza, con un focus particolare dedicato ai diritti e alle questioni di natura economica.

Il ruolo della Turchia

La stampa turca ha acclamato le azioni di Zelensky che, sin dal suo insediamento alla presidenza di Kiev, ha fatto della questione tatara uno dei pilastri fondanti della sua agenda politica. Ankara è ovviamente interessata alla svolta diplomatica post-2014, poiché ha intravisto in essa la storica opportunità di sostituirsi a Mosca all’interno del teatro ucraino, utilizzando come principali leve d’azione la sicurezza e la libertà di navigazione nel Mar Nero, la collaborazione economica e la Crimea.

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha spiegato che la protezione dei tatari residenti in Ucraina riveste un ruolo prioritario nell’agenda estera di Ankara e ha definito la penisola crimeana la “loro storica madrepatria”, reiterando l’illegalità dell’annessione da parte russa.

Uno sguardo al bilancio dell’ultimo anno di cooperazione bilaterale mostra come siano stati proprio i tatari a guidare l’avvicinamento dei due Paesi: lo scorso agosto, nel corso di una visita ufficiale ad Ankara, Zelensky ha partecipato all’inaugurazione di un ufficio di rappresentanza dei tatari di Crimea; a febbraio, invece, è stato il turno di Erdogan a Kiev, durante il quale ha annunciato misure per la risistemazione abitativa di quasi 500 famiglie tatare fuggite o espulse dalla Crimea e ribadito la fermezza della posizione turca sullo status della penisola.

La collaborazione durante la pandemia

Il Covid-19 ha avvicinato ulteriormente i due paesi, essendo l’Ucraina rientrata all’interno della diplomazia degli aiuti sanitari promossa dalla Turchia. Il 7 maggio, Ankara ha aiutato nove cittadini ucraini bloccati in Argentina a fare ritorno in patria, a bordo di un volo di linea turco, mentre il giorno successivo un aereo turco è atterrato a Kiev, con un carico di 150mila mascherine ed altri beni, come equipaggiamento protettivo e disinfettanti, accolto da una delegazione guidata dal ministro degli esteri ucraino, Vasyl Bodnar.

Ciò che la Turchia sta tentando di fare nell’ex cortile di casa della Russia per antonomasia è chiaro: approfondire la frattura con il Cremlino creatasi con Euromaidan ed accelerare la transizione dell’Ucraina nell’orbita euroamericana, ritagliandosi un ruolo di primo piano nel cambio di paradigma in virtù della posizione geostrategica rivestita e del dinamismo manifestato.

Le mire turche sul paese non sono da leggere in chiave esclusivamente antirussa, perché fanno parte di un più ampio contesto di elaborazione strategica mescolante neo-ottomanesimo, panturchismo e turanismo, che ha portato Ankara ad esporsi nuovamente, e pesantemente, in tutte quelle aree geopolitiche che un tempo furono sotto influenza diretta o indiretta ottomana, dai Balcani al Caucaso fino all’Asia centrale.





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