Gli iraniani che sostengono il regime non sono meno del trenta per cento. Certo non tutti gli oppositori sono laici, semplicemente sono moltissime le ragioni per opporsi alla Repubblica Islamica e al suo concetto di “Velayat e Faqih”, la tutela del giurisperito.
Il governo iraniano, pur essendo una “burocrazia elastica”, più che un potere accentrato nelle mani di un solo dittatore, ha finito per escludere troppe persone.
La nomenclatura iraniana è più simile a quella del partito comunista cinese, che a quella di dittature personalistiche, com’era per esempio quella Saddam Hussein in Iraq.
È fatta da mille anime, anche con posizioni enormemente differenti. Quello che le unisce è l’accettare l’ideologia della “Velayat e Faqih” o semplicemente la condivisione del potere. Anche perché, come per la Cina il comunismo oggi è una bandiera dietro cui si cela il capitalismo più sfrenato, per l’Iran Khomeini è ormai un’icona dietro cui si cela la gestione, a volte anche molto spericolata, del potere.
La figura della guida suprema e le altre istituzioni del regime, che danno il via libera non solamente alle candidature alle elezioni, ma anche alle leggi firmate dal parlamento, sono proprio un tentativo di mettere insieme tutte le diverse anime della Repubblica Islamica. Le istituzioni iraniane sostengono di essere le uniche custodi dell’interpretazione del Corano e quindi della legge in Iran. È proprio questa pretesa che ha creato una delle opposizioni al regime più interessanti e meno conosciute in occidente, quella religiosa.
Nella tradizione sciita, come in generale sunnita, non vi è un Papa al vertice, motivo per cui è impossibile dire quale sia la giusta e unica interpretazione del Corano o nominare il clero. Si tratta di un meccanismo molto simile a quello della religione ebraica. L’Islam, come l’Ebraismo, è una religione che tende a regolare la vita di tutti i giorni, ma lascia tradizionalmente liberi di scegliere il religioso che indicherà quali siano queste regole. Per essere titolato a interpretare il Corano, basta studiare per anni il testo sacro, scrivere molti libri e avere molti musulmani che ritengano che si sia titolati a interpretare. Questo fa sì che le interpretazioni tradizionalmente date possano differire molto da religioso a religioso o da scuola giuridica a scuola giuridica.
La maggiore differenza tra sciiti e sunniti è data dalla successione di Maometto. Se per i sunniti dopo Maometto i califfi possono solamente comandare la comunità, ma non interpretare in modo unico e centralizzato il Corano, per gli sciiti dopo il profeta vi sono stati altri dodici Imam che ispirati da Dio davano un’interpretazione del Corano che era da considerarsi come definitiva e certamente vera. Il dodicesimo, il Mahdi, però disgustato dal mondo, si è nascosto e non è mai morto. Tornerà alla fine del mondo con Gesù Cristo per giudicare gli uomini. Ecco perché anche per lo sciismo, tradizionalmente da allora non è stata più possibile un’interpretazione unica del Corano. Non essendo morto il Magdi, che si è solo nascosto in attesa di tornare alla fine del mondo, non si può nominare un successore, quindi nessuno può più essere l’unico interprete delle scritture sacre.
L’ayatollah Khomeini riformò proprio questo punto, creando una nomenclatura che si è appropriata dell’interpretazione del Corano per farla legge unica dello Stato. Inoltre non ha mai smentito l’idea che circolava tra alcuni dei suoi fedeli di essere lui il Mahdi. È proprio di questo di cui lo accusano molti religiosi sciiti. Aver cristallizzato attraverso la legge dello Stato l’interpretazione del Corano ha reso impossibile la naturale e tradizionale libera interpretazione del testo sacro, libertà che avrebbe dovuto terminare solamente con la fine del mondo e l’arrivo del Mahdi e di Gesù Cristo.
Quest’accusa fu fatta già negli anni della rivoluzione e non fu lanciata solamente dai religiosi che vi si opponevano o dall’ala sinistra e maggioritaria dei rivoluzionari, ma anche dagli stessi che avevano inventato il concetto di “Velayat e Faqih”, come l’ayayollah Hossein Ali Montazeri, che avrebbe dovuto essere il successore di Khomeini e che invece passò il resto della sua vita ai domiciliari. L’ayatollah nel 1989 disse: “Il diniego dei diritti del popolo, l’ingiustizia e il disconoscere i veri valori della rivoluzione hanno portato i più severi colpi alla Rivoluzione. Prima di ogni ricostruzione, ci deve essere una ricostruzione politica ed ideologica … Ciò è qualcosa che il popolo si aspetta da un leader”.
Oggi l’accusa non solo è portata avanti da milioni di Sufi, ma anche da molti ayatollah, in Iran, come in altri Paesi con forti comunità sciite come Iraq e Libano.
Ma i gruppi che hanno motivo di sentirsi tagliati fuori dalla Repubblica Islamica, sono molti di più. Vi sono per esempio i Bahai, che rappresentano la seconda religione del paese e che sono illegali perché considerati un’eresia moderna dello sciismo.
Anche i sunniti del Paese sono scontenti come anche le minoranze culturali curde e azere. Tutti chiedono che l’Iran tenga in maggior conto le loro specifiche diversità culturali o religiose. Per non parlare delle tribù nomadi, che contano ancora più di un milione di persone, anch’esse hanno visioni religiose e culturali molto diverse da quelle della repubblica islamica.
Vi sono poi le piccole comunità ebraica, armena e zoroastriana che anche se rispettate e istituzionalizzate, sono comunque obbligate a rispettare le leggi della repubblica islamica fuori dalle proprie abitazioni. Vi sono poi anche gli Yazidi, che però al contrario che in Armenia e Iraq sono illegali, perché considerati per errore come adoratori del male. Se si uniscono insieme tutti questi questi gruppi alle vaste masse cittadine laiche e ai moltissimi scontenti per la situazione economica, ecco che si comprende che la grande maggioranza della popolazione è contraria alla Repubblica Islamica. Secondo molti osservatori il regime ha però sempre potuto sopravvivere grazie a un mix di elasticità e violenza. Khomeini tenne tutti i pezzi insieme anche grazie alla guerra con l’Iraq. La risposta all’invasione irachena fu vista come prioritaria dagli iraniani e permise al regime di nascondere sotto il tappeto tutte le divisioni e le ambiguità dei rivoluzionari. Finita la guerra e morto Khomeini, il suo successore, l’ayatollah Khamenei, si ritrovò per le mani la “la patata bollente” dell’esplosione delle mille contraddizioni della Repubblica Islamica in tempo di pace.
Khamenei è riuscito a tenere insieme il Paese grazie a un misto di pragmatismo e di svuotamento del valore delle leggi senza mutarle. Il tutto è avvenuto attraverso la corruzione delle forze dell’ordine e alla pratica di chiudere gli occhi davanti al non rispetto delle leggi, finché esso non diventi una precisa richiesta di modificarle. Allo stesso tempo non ha avuto remore ad appoggiare le condanne a morte di chiunque mettesse in dubbio le leggi o il potere della Repubblica. In pratica, secondo molti, ha fatto intendere alle masse, stanche dopo la rivoluzione e la guerra Iran-Iraq, che potevano fare quello che volevano a patto di farlo dentro casa e di non rivendicarlo come diritto. Ma ha anche chiarito, che se avessero oltrepassato la linea rossa trasformando quello che facevano di nascosto in rivendicazione politica, rischiavano di essere uccisi per aver messo a rischio le fondamenta della Repubblica Islamica.
Anche l’emigrazione degli scontenti verso altri paesi è stata tollerata pur di rendere meno esplosiva la situazione in patria.
Un altro punto di forza del regime è che quasi nessun politico dell’opposizione è stato capace di parlare sia ai laici, che agli oppositori religiosi, tribali o culturali. In fondo tutti chiedono uno stato meno presente nella loro vita. Solamente gli ex candidati presidenziali Mussavi e Karrubi e l’ex sindaco di Teheran, Karbaschi, vi erano in parte riusciti. Per altro essendo nomi di peso della stessa Repubblica Islamica. Fu proprio per questo che, secondo molti osservatori, vinsero le elezioni contro Ahmadinejad nel 2009 e che il regime spaventato dalla propria inaspettata deriva libertaria e progressista, truccò il voto, li incarcerò e represse le proteste dell’onda verde con massima violenza.
Il regime oggi vive un nuovo momento di fragilità. Khamenei è molto anziano e ha un tumore, bisogna quindi capire se la nomenclatura della Rivoluzione Islamica sarà capace di eleggere un nuovo leader supremo che metta insieme tutte le sue anime e se esso sarà capace di convincere o obbligare la maggior parte degli iraniani ad accettare un’ideologia da cui, secondo molti osservatori, si sentono tagliati fuori per i motivi più disparati.