Demografia è destino. All’alba del nuovo secolo gli studiosi John B. Judis e Rudy Teixeira nel loro celebre saggio “The emerging democratic majority” preconizzavano l’avvento negli Stati Uniti di una maggioranza elettorale composta da professionals, donne, minoranze e colletti blu pronta a garantire il predominio ai seggi del partito democratico. La svolta a sinistra sembrava aver trovato conferme nel 2008 con l’elezione di Barack Obama al punto da far sostenere agli strateghi di Hillary Clinton che i dem nel 2016 avrebbero potuto vincere persino in Texas, il deep red State che non votava per un candidato del partito dell’asinello dai tempi di Jimmy Carter.

La storia però è andata diversamente e per diversi analisti i guai nei sondaggi di Joe Biden, per quanto rappresentativi di un’istantanea, sarebbero comunque indicativi di una tendenza che va ben al di lĂ  della stanchezza degli americani nei confronti di un rappresentante politico considerato troppo anziano. I dati scoraggianti per il presidente dipenderebbero infatti anche da un’emorragia di consensi in una delle constituency chiave per i democratici: quella della classe lavoratrice.  

“Se solo 40mila persone in Wisconsin, Pennsylvania e Michigan avessero cambiato idea, avrei vinto” scrive la Clinton nel suo libro, “What happened”, commentando lo sfondamento di Donald Trump del 2016 nei tre Stati ad alta concentrazione di colletti blu e attribuendolo in parte ai voti intercettati dal partito Green di Jill Stein. L’autopsia della sconfitta eseguita dalla prima candidata donna alla presidenza non tiene però conto proprio dello scollamento avvenuto tra l’establishment di sinistra e la working class americana. 

A distanza di 20 anni dalla loro opera in cui teorizzavano l’imminente materializzarsi della blue age sono gli stessi Judis e Teixeira, di formazione liberal, a riconoscere le difficoltĂ  del partito che fu di Franklin Delano Roosevelt in un nuovo saggio “Where have all the democrats gone?”. Nella loro nuova analisi i due studiosi ammettono di non aver previsto lo spostamento della classe lavoratrice verso i repubblicani sebbene continuino a ritenere che i lavoratori piĂą qualificati, le donne e le minoranze siano ancora orientati a sinistra. 

Per Judis e Teixeira è con Carter a partire dagli anni Settanta che i democratici avrebbero cominciato ad abbandonare la working class, ma è l’amministrazione di Bill Clinton ad aver impresso l’accelerazione maggiore con l’allontanamento dai sindacati, il sostegno al libero commercio e l’approvazione di politiche migratorie piĂą permissive. In questo contesto sarebbe quindi stata determinante la perdita d’influenza del movimento operaio portavoce delle istanze dei lavoratori meno qualificati e con bassi livelli d’istruzione. I due esperti scrivono che “Hollywood, la Silicon Valley e Wall Street insieme ai gruppi femministi, ambientalisti ed alle organizzazioni per i diritti civili” hanno preso il controllo dello shadow party interno al partito democratico il quale ormai sembra rivolgersi solo ad un elettorato urbano, altamente istruito e progressista.

Biden ha cercato di recuperare il terreno perduto nei rapporti con la classe operaia appoggiando le rivendicazioni dei colletti blu dell’industria automobilistica in sciopero nelle scorse settimane ma questa iniziativa politica non si è tradotta per il presidente in un rimbalzo nei sondaggi. Se si aggiungono poi i dati che mostrano un calo di consensi per il vecchio Joe tra gli afroamericani, i latinos, i musulmani e i giovani sotto i 35 anni appare ancora piĂą evidente come il legame storico tra il partito democratico e il suo elettorato di riferimento sembra essersi spezzato. Se i mesi che ci separano alle elezioni presidenziali del 2024 basteranno per ricucire questo legame è tutto da vedere.

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