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La neutralità dell’Ucraina di cui importanti esperti di geopolitica europea come Sergio Romano parlavano da tempo come dell’unica opzione per trovare una soluzione alla guerra a Est e che è riemersa nelle recenti trattative di pace mediate dalla Turchia è una proposta che sarebbe già stata avanzata al leader di Kiev Volodymyr Zelensky a Monaco dal cancelliere tedesco Olaf Scholz il 19 febbraio scorso. A riportarlo il Wall Street Journal, secondo cui in occasione della Conferenza sulla Sicurezza tenutasi nel capoluogo della Baviera Scholz avrebbe offerto a Zelensky, lì convenuto per denunciare le mire russe sul suo Paese, la rinuncia a ogni aspirazione all’ingresso dell’Alleanza Atlantica in cambio di un accordo di garanzia securitaria firmato tanto da Vladimir Putin quanto da Joe Biden

Le porte in faccia di Zelensky a Scholz

Zelensky rifiutò la mediazione. Il dado era oramai tratto: Russia e Ucraina si ritenevano già pronte alla guerra. La macchina della mobiltiazione di Mosca era entrata a pieno regime e Zelensky aveva già dato ordine di rinforzare le difese nel Donbass e di prepararsi all’urto che, fino ad ora, le forze ucraine hanno retto con notevole capacità di resistenza. Secondo il Wsj, decisivo nel diniego di Zelensky sarebbe stato proprio il fattore umano: il leader di Kiev ha presentato la profonda sfiducia verso Putin come causa determinante del diniego al patto proposto da Scholz, estremo tentativo di salvare l’asse geoeconomico e strategico della GeRussia coltivato per anni da Angela Merkel e demolito dallo Zar del Cremlino con l’attacco del 24 febbraio. “Non ci si può fidare di Putin”: così Zelensky chiuse le porte alla mossa di Scholz.



Il dado era oramai tratto: Russia e Ucraina si ritenevano già pronte alla guerra. E Scholz, in quel momento, fece l’ennesimo tentativo di una strategia che lo ha portato a tentare di emulare, senza successo, Angela Merkel. Di cui da ministro dell’Economia ha condiviso a lungo la linea di distensione e mediazione tra Russia e Occidente volta a consolidare la centralità tedesca in Europa. Ma dal suo arrivo alla Cancelleria a dicembre, complice la freschezza nel ruolo, Scholz non è riuscito a emulare la Cancelliera. Anzi, pur avendo intuito in partenza la natura rovinosa del conflitto per la Germania e l’Europa, pochi i passi significativi con cui ha potuto avvicinare le parti in causa.

I flop diplomatici del Cancelliere

La settimana precedente l’offerta a Zelensky Scholz era volato a Kiev e Mosca per discutere con i rispettivi capi di Stato, provando a trovare una soluzione diplomatica alla crisi ucraina. A Kiev, parlando con Zelensky nella giornata del 14 febbraio aveva dichiarato che l’ingresso dell’Ucraina nella Nato “non è nell’agenda” dei Paesi della coalizione occidentale. A Mosca ha chiesto a Putin un invito alla de-escalation, dichiarando che “in caso di un’aggressione militare contro l’Ucraina, che minaccia la sua integrità territoriale e la sua sovranità, arriveranno risposte dure e sanzioni. Risposte che abbiamo preparato con cura e che possiamo rendere effettive immediatamente, insieme ai nostri alleati in Europa e nella Nato”. I distinguo finora avvenuti sulle sanzioni, la ritirata di Scholz nella risoluta campagna di contrasto al gas russo e la natura unilaterale di altre azioni di Berlino hanno mostrato che la situazione è più complessa.



Scholz è sembrato esser messo in ombra da Emmanuel Macron sulla mediazione e anche dopo lo scoppio del conflitto non ha saputo muoversi con la dimestichezza che era propria di Angela Merkel e del suo storico ministro degli Esteri, l’attuale capo dello Stato Frank-Walter Steinmeier. L’8 marzo, a due settimane dall’invasione, Scholz ha provato inutilmente a incaricare il presidente cinese Xi Jinping, da lui incontrato, del compito di una mediazione; il giorno successivo, in una conferenza stampa ha fatto richiesta di una tregua immediata; il 12 marzo ha parlato a Putin chiedendo un cessate il fuoco immediato in Ucraina prima di avviare trattative di pace tra Mosca e Kiev. In mezzo, un segno della dura insofferenza di Zelensky per un cancelliere ritenuto troppo ambiguo era venuto dal fatto che l’ex cancelliere e compagno di partito del socialdemocratico Scholz, Gerhard Schroeder, era volato a Mosca su richiesta di Kiev per operare da mediatore. “Kiev avrebbe chiesto a Schröder di tentare di trattare con Putin per ottenere almeno un cessate il fuoco. Un’iniziativa gestita da Rustem Umerov, parlamentare e membro della delegazione ucraina che ha partecipato ai colloqui in Bielorussia. Ma di cui Berlino non era a conoscenza”, nota Il Fatto Quotidiano.

Tutte le contraddizioni del governo tedesco

Scholz fino ad ora ha dunque bloccato il gasdotto Nord Stream 2 ma non chiuso alle importazioni energetiche dalla Russia; ha deciso l’invio di armi a Kiev e proposto l’aumento delle spese militari senza però dare mandato a un chiaro decoupling da Mosca; ha esercitato una leadership claudicante in Europa portando al rischio di irrilevanza per il Vecchio Continente nella crisi. Ha, dunque, fatto l’esatto opposto di quanto successo ai tempi di Angela Merkel, in cui la Cancelliera sapeva governare con realismo anche situazioni contraddittorie. Ora l’esplosione della GeRussia ha mostrato come una delle principali direttrici geopolitiche di Berlino si trovi, sostanzialmente, difficilmente sostituibile.

E il complesso governo di coalizione Spd-Verdi-Liberali è stato travolto da queste contraddizioni: il sostenitore del Nord Stream 2 e pacifista Scholz è diventato il leader dello stop al gasdotto e del riarmo; su quest’ultimo punto, il falco liberale delle Finanze Christian Lindner ha visto demolita la sua narrativa da rigorista contro la spesa pubblica; Robert Habeck e Annalena Baerbocki leader Verdi che sono rispettivamente ministri dell’Economia e degli Esteri, da ambientalisti anti-gas stanno trattando l’acquisto del carbone, le politiche per evitare il caos sociale in caso di stop al decisivo gas russo e le importazioni di Gnl dall’Africa, gli Usa, il Qatar. In questo caos c’è il declino della capacità d’azione e mediazione tedesca dopo la fine dell’era Merkel. Di cui la velleitaria diplomazia di Scholz, che ha tentato di imitare la Cancelliera senza riuscirci, è la più plastica testimonianza. Tanto che ora la palla della mediazione si é spostata altrove: Vaticano, Turchia, Israele in prima fila, mentre Scholz ha abdicato e in Europa il solo Emmanuel Macron sembra capace di promuovere un’agenda autonoma.

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