Molto spesso sottovalutata nelle analisi riguardanti la politica comunitaria, la Polonia è un membro di primo piano nel consesso europeo. Quinta nazione dell’Unione (sesta contando anche il Regno Unito) per popolazione, forte di un Pil da oltre 600 miliardi di euro in continua crescita e maggioritaria nel gruppo di Visegrad per influenza politica ed economica, la Polonia è il crocevia dell’Europa orientale.
La tornata delle elezioni europee che interesserà Varsavia nella giornata del maggio andrà dunque tenuta particolarmente d’occhio. La Polonia eleggerà 51 eurodeputati, che diverranno 52 non appena avverrà il perfezionamento della Brexit, e il voto per Strasburgo rappresenterà un test cruciale per il governo conservatore del Partito Diritto e Giustizia (PiS), il partito legato alla Chiesa cattolica, egemone nella parte profonda del Paese, tradizionalista sotto il profilo sociale ed interventista in economia che è maggioritario nel Paese.
Il PiS, di cui sono espressione il capo di Stato (Andrej Duda) e di governo (Mateusz Morawiecki), e il suo dominus Jaroslaw Kaczynski sono centrali nelle strategie della coalizione conservatrice europea di cui fanno parte, tra le altre cose, i partiti italiani di Giorgia Meloni e Raffaele Fitto. Il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei, dati i Tory britannici in rotta di uscita dall’Ue, avrà in futuro un baricentro spostato sempre più a Est. Ma confermare la quota di consensi vicina al 40% che ha permesso la vittoria alle elezioni politiche del 2015 non sarà affatto facile.
In Polonia, oggigiorno, la sfida politica vede di fatto il PiS schierato contro tutti: liberali, socialdemocratici europeisti, populisti critici della penetrazione del partito nei gangli vitali della società. Una coalizione europeista guidata da Piattaforma Civica, il partito del presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, e spalmata su più eurogruppi appare oggi l’insidia principale per Kaczynski e i suoi. Mentre a livello socio-politico le principali insidie appaiono rappresentate dalle conseguenze del recente sciopero degli insegnanti e da un potenziale scandalo in seno alla Chiesa polacca.
Lo sciopero degli insegnanti agita la polonia
Fine aprile ha visto la scuola polacca rivoltarsi contro il governo, accusato di scarsa attenzione verso i bassi stipendi dei docenti e di controllo politico sui programmi, e gli insegnanti avviare una lunga agitazione arrestatasi solo il 27 aprile, che non esclude nuove mobilitazioni future. “Le rivendicazioni dello sciopero degli insegnanti“, scrive Osservatorio Globalizzazione, “sono di carattere materiale e ideologico, attengono sia agli stipendi e alle condizioni di lavoro del personale scolastico, sia ai programmi d’insegnamento basati sostanzialmente sulla narrazione nazional-populista promossa dal partito di governo (…) In Polonia un insegnante medio delle scuole statali, nella maggior parte dei casi con contratto da precario, percepisce circa 1600 zloty di stipendio mensile: poco meno di 400 euro, con una prospettiva di trattamento pensionistico, dopo 35 anni d’impiego, di nemmeno due terzi di quella cifra”.
Sull’educazione un’altra problematica importante è rappresentata dal differenziale tra scuole private e pubbliche in materia di erogazione di servizi e sostegno al lavoro dei docenti. Il PiS ha fortemente incentivato la nascita di scuole private confessionali, a testimonianza del suo forte legame con la Chiesa. Messo sotto pressione nei giorni precedenti le Europee da un attacco diretto all’istituzione ecclesiale.
UN NUOVO SCANDALO DI ABUSI?
A turbare la scena politica polacca è giunto il documentario Non dirlo a nessuno, che si presenta come denuncia di nuovi scandali di abusi sessuali su minori compiuti da esponenti della Chiesa nazionale ed è stato realizzato dai fratelli Tomasz e Marek Sekielski, toccando in poche ore 8 milioni di visualizzazioni su YouTube.
Sotto accusa, in particolare, sarebbe la prassi dello spostamento dei sacerdoti accusati di queste pratiche da una diocesi all’altra. Le reazioni della Chiesa polacca, sottolinea Il Giornale, “hanno spaziato tra chi ha chiesto scusa “per gli errori”, come l’arcivescovo e primate di Polonia Wojciech Polak, a chi si è barricato dietro un no comment, come l’arcivescovo di Danzica, Slawoj Glod, il quale ha detto di “non aver visto il documentario”. L’arcivescovo di Cracovia Marek Jedraszewski, invece, ha bollato il film come un modo di “fare politica miserabile, basandosi sulle menzogne”.
La tempistica della pubblicazione del documentario è quantomeno indicativa. A poche settimane dalle elezioni, colpire la Chiesa polacca significa colpire il PiS. Non a caso Kaczynski ha detto a inizio mese che “senza Chiesa non ci sarebbe la Polonia”: unica istituzione a mantenersi autonoma dal regime comunista, prima e dopo l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II, la Chiesa ha svolto un ruolo sussidiario cruciale durante i tormentati anni Novanta ed è oggigiorno una presenza costante nella vita quotidiana di un popolo che vanta i tassi di affluenza alle messe (40% della popolazione) più alti d’Europa. Piattaforma Civica è passata all’attacco, mentre il PiS ha chiamato a raccolta i suoi sostenitori contro degli attacchi che si definiscono strumentali. Tra tradizione e futuro, le sfide al governo conservatore saranno la chiave di lettura di maggiore importanza per decidere l’esito delle europee in Polonia e la futura rotta del Paese.