Il memorandum di Madrid segna un nuovo corso nelle relazioni tra i Paesi occidentali e la Turchia all’interno dell’Alleanza Atlantica: è stato, infatti, finalmente trovato l’accordo sulla domanda di adesione alla NATO di Helsinki e Stoccolma, a cui viene ora rimosso il veto di Ankara. Un passo avanti per l’Alleanza, ma soprattutto una grande conquista per Recep Erdogan: si tratta di un acquisto di credito politico in patria, alle prese con una situazione esplosiva, ma soprattutto di un rilancio internazionale, tentando di uscire dalle sabbie mobili in cui si era cacciato. Il leader turco, infatti, si è presentato al vertice con un carnet personale in tumulto: tensioni con la Grecia, minaccia di una nuova offensiva nel nord della Siria, relazioni travagliate con la Russia, quanto basta per considerarlo ancora alleato, sì, ma forse non più un amico fidato dell’Occidente.

Le origini del veto

Ma facciamo un passo indietro, ovvero alle origini del veto turco all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO. Erdogan aveva criticato l’approccio permissivo di Svezia e Finlandia nei confronti di gruppi che Ankara considera minacce alla propria sicurezza nazionale, incluso il PKK e la sua branca siriana (YPG). Turchia, Svezia e Finlandia classificano il PKK come organizzazione terroristica, ma Erdogan ha accusato i due stati nordici di ospitare e sostenerne i combattenti, cosa che i Paesi scandinavi negano. La Svezia, in particolare, sostiene e invia aiuti ad altri gruppi curdi in Siria che il governo turco non distingue dal PKK. D’altra parte, quest’ultimo è già considerato una organizzazione terrorista secondo la lista dell’UE. Non è invece nella lista l’YPG e i suoi membri, che invece la Turchia considera terroristi e combatte.

La Turchia ha chiesto alla Finlandia e alla Svezia di estradare le persone ricercate e di revocare le restrizioni sulle armi imposte dopo l’incursione militare della Turchia nel 2019 nel nord-est della Siria. Ora i tre Paesi “hanno concordato di rafforzare la collaborazione sull’anti-terrorismo”. Svezia e Finlandia “prenderanno misure sulla legislazione nazionale” ed esamineranno le richieste di estradizione “secondo la Convenzione europea sull’estradizione”. L’accordo prevede che i paesi nordici revochino l’embargo sulle armi che avevano precedentemente imposto alla Turchia (come, d’altra parte, anche la Germania), un segno positivo secondo Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, che bolla negativamente questo tipo di restrizioni fra alleati.

Le richieste di Erdogan

Andando nel dettaglio, al punto 4 del memorandum si legge che Finlandia e Svezia, come futuri membri, non dovranno offrire supporto all’YPG e al suo ramo politico, il PYD, il Partito dell’Unione Democratica. Ma viene incluso nell’accordo anche il Feto, il movimento islamico con a capo Fethullah Gulen, accusato da Ankara di essere la regia dietro il colpo di Stato nel 2016, da cui sono partite le purghe che hanno stravolto la nazione: molti degli esiliati hanno trovato rifugio proprio nei due paesi, così come molti perseguitati dall’Isis e i profughi della guerra in Siria.

Il punto 4 dell’accordo, inoltre, sa di vero capestro: i due Paesi si impegnerebbero a condannare tutte le organizzazioni che perpetuano attacchi contro la Turchia ed esprimono la loro solidarietà alla Turchia e alle famiglie delle vittime. Un principio nobile, in linea teorica, se non fosse che sotto l’etichetta di terrorista Erdogan sia in grado di far passare chiunque. Il punto 5 prevede sostanzialmente lo stesso impegno circa il PKK, mentre il punto 6, invece, fa preciso riferimento ai mutamenti legislativi interni che possono in qualche modo rafforzare le pretese turche. La Finlandia, infatti, ha approvato un nuovo codice penale che allarga il reato di terrorismo, mentre la Svezia si appresta a vedere in vigore una nuova legge antiterrorismo a partire dal 1° luglio. Al punto 8 del memorandum, una serie di norme accessorie che impegnano le tre nazioni a cooperare in materia di intelligence, estradizione, lotta al terrorismo e alla disinformazione, oltre al divieto assoluto di finanziamento a gruppi e organizzazioni che incitano alla violenza contro lo stato turco.

Un accordo sulla pelle dei curdi?

La Turchia, pilastro orientale del Trattato, si è attenuta, dunque, alla sua lista completa di richieste “legittime”, come le ha definite lo stesso Stoltenberg, dopo i colloqui a Bruxelles del 20 giugno tra Ibrahim Kalin, consigliere del presidente turco, e i rappresentanti di Svezia e Finlandia.

Da qui il dubbio legittimo se, ancora una volta, un grande accordo internazionale, che questa volta segna un appeasement nella NATO, non venga fatto sulla pelle dei curdi. Come riporta Rainews, a un giornalista che chiedeva che significa l’accordo per giornalisti curdi ed esponenti dell’opposizione turca rifugiatisi in Svezia e Finlandia, Stoltenberg ha risposto: “Leggerete molto presto che cosa prevede riguardo all’estradizione il testo del memorandum, sarà pubblicato sul sito della Nato. Finlandia e Svezia sono pronti a lavorare con Turchia sulla estradizione degli individui sospetti, ma questo – ha precisato – deve avvenire secondo la convenzione europea sull’estradizione e nel rispetto dello stato di diritto nei due paesi interessati”. Questo vuol dire che “quando ci saranno accuse provate riguardo ad attività criminali e terroristiche, la Svezia e la Finlandia faranno quello che è previsto dalla loro legge”.

E dunque, la consueta strategia diplomatica di Erdogan ha funzionato anche questa volta: non concedere nulla fino all’ultimo momento per poi portare a casa quei due/tre obiettivi fondamentali per Ankara pur se minoritari per il resto della NATO. Erdogan è giunto al vertice con diversi desideri. Vuole che gli stati europei nomino le YPG, la spina dorsale della forza statale antislamica guidata dagli Stati Uniti in Siria, come un gruppo terroristico. Ha anche chiesto alla Svezia di impedire la raccolta di fondi per il PKK. La Turchia è stata anche desiderosa di convincere la Svezia a revocare un divieto informale di esportazione riservato ad Ankara per convincere la NATO a concentrarsi maggiormente sulla sicurezza lungo il suo fianco meridionale e per ottenere F-16 dagli Stati Uniti che erano promesso dopo che l’amministrazione Trump ha cacciato l’alleato dal programma F-35 per l’acquisto del sistema di difesa aerea russo.

Un assegno in bianco per Erdogan? In Svezia non sarà semplice

Che il memorandum sia un assegno in bianco firmato in favore di Erdogan? Non è detto. Solo l’ingresso di Finlandia e Svezia nella NATO potrà effettivamente svelare la portata di questi impegni. I due Paesi si inquadrano in un consesso di Stati che si impegna attivamente nel rispetto dei diritti umani e del diritto umanitario e che non potrebbero mai contravvenire alle regole imposte dal sistema UE. Tuttavia, noblesse oblige, e il rinforzo baltico dell’Alleanza potrebbe richiedere più di qualche sentenza pilatesca.

Per Svezia e Finlandia, definite da Ergodan “pensioni per curdi”, non sarà affatto semplice fare pressione sulle comunità curde, poichè ospitano migliaia di rifugiati, in gran parte iraniani e iracheni arrivati ormai quarant’anni fa (in Finlandia 30mila e in Svezia 250mila); proprio per questo, un’eventuale caccia alle streghe in Scandinavia non sarà di certo egevole, soprattutto in Svezia. Qui i curdi non hanno avuto facile, soprattutto negli anni ’80, in seguito all’omicidio del primo ministro Olaf Palme avvenuto nel 1986 e che diede vita ad una infinità di piste divergenti. All’epoca dei fatti, numerosi esponenti politici del mondo curdo vennero sospettati essere mandanti ed esecutori materiali dell’assassinio.

Dei 7-8 mila cittadini curdi che ottennero asilo politico in Svezia in quegli anni, solo qualche decina venne considerata dalla stessa Saepo, la polizia per la sicurezza dello stato svedese, come affiliati al PKK e quindi, per una legge del 1984, considerati terroristi. L’allora capo della polizia della regione di Stoccolma, Hans Holmer scatenò una tale caccia alle streghe da scatenare il risentimento dei curdi di Svezia, che si sentirono tutti chiamati in causa. Nel 1987, fra i motivi che fecero sospettare del PKK ci sarebbe stato il diniego da parte del governo svedese nel 1984 di concedere asilo politico ad Abdullah Ocalan, che dal quartier generale a Damasco avrebbe voluto trasferirsi in Svezia dove era già stata accolta invece sua moglie. I curdi a loro volta, accusarono la polizia svedese di essere invece in collegamento con la polizia segreta turca e di agire su suggerimenti di quest’ ultima con lo scopo di fare dei curdi un capro espiatorio.

La comunità curda in Svezia, protagonista di un esodo massiccio a partire dal 1975, ha una consistente peso culturale e politico. In parlamento siedono ben sei parlamentari di origine curda come Amineh Kakabaveh, Gulan Avci, Lawen Redar, Sara Gille o Kadir Kasirga. Proprio Kakabaveh ha dichiarato: «Questo è un tradimento del governo svedese, dei Paesi della Nato e di Stoltenberg che ingannano un intero gruppo che ha liberato sé stesso e il mondo intero da Daesh. Soprattutto quando si tratta della lotta delle donne, che la Svezia afferma di sostenere». La deputata ha lavorato per un accordo con il governo a sostegno delle YPG e del PYD, ora andato in pezzi: «Si abbandona quanto conquistato, a causa di un dittatore e ci si allea con un altro dittatore», ha diciarato riferendosi a Erdogan e Putin. Ora Kakabaveh vuole chiedere la sfiducia al governo di Magdalena Andersson. Che nella NATO che verrà non sarà facile tenere tutti nello stesso recinto è già di per sé evidente.

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