Joe Biden ha sciolto le riserve. Il presidente Usa ha annunciato ufficialmente l’intenzione di ricandidarsi nel 2024. L’annuncio era atteso da tempo. La data scelta, il 25 aprile, simbolica quanto basta. Già il 25 aprile del 2019 annunciò la candidatura ufficiale per sfidare. Eppure sul futuro del presidente dem le incognite non mancano.
La variabile economica
Nel suo video Biden ha puntato tutto sull’aspetto emozionale. Sulla difesa delle libertà e soprattutto sul confronto con quelli che definisce radicali Maga, la base trumpiana del partito repubblicano vicina all’ex presidente Donald Trump. Il video rappresenta una rapida carrellata su quelli che secondo Biden saranno i temi sul tavolo nel prossimo anno e mezzo. Tra immagini dell’assalto a Capito Hill del 6 gennaio 2021 e clip con interventi di Biden, viene chiaramente espresso che al centro dell’agenda ci saranno il diritto all’aborto, la difesa della democrazia, il diritto al voto e la rete di sicurezza sociale.
“Ogni generazione”, spiega Biden nel suo intervento, “ha affrontato un momento in cui ha dovuto difendere la democrazia, difendere le nostre libertà personali e difendere il nostro diritto al voto e i nostri diritti civili. Questo è il nostro”. Eppure c’è un grande assente nell’intervento del presidente, ha notato Bloomberg, l’economia. Il tema è molto delicato per la Casa Bianca. Negli ultimi due anni, complice il rimbalzo post pandemico, l’economia americana ha visto diversi record, in particolare la crescita dell’occupazione. Eppure questo non è sufficiente a cantar vittoria. Uno dei problemi principali, nota il sito economico, rimane l’inflazione che ha morso per mesi il portafoglio degli elettori. Ma non solo. Diversi analisti sono concordi nell’affermare che il combinato disposto di alta inflazione (causata da un’economia surriscaldata per il flusso di denaro pompato dall’amministrazione Biden durante le fasi acute della pandemia) e gli interventi della Federal Reserve in materia di aumento dei tassi di interesse, potrebbe trascinare gli Stati Uniti in recessione entro la fine dell’anno.
Un problema non da poco visto che per gli americani la cosa che conta di più è l’economia. Un sondaggio del Pew Research Center condotto in gennaio ha rilevato che per il 75% degli elettori la forza dell’economia dovrebbe essere la priorità numero uno dei politici. Certo, nota sempre il Pew, anche altri temi rimangono una priorità, come riduzione dei costi per la salute, riduzione del deficit, lotta al terrorismo e alla criminalità e maggiori fondi all’istruzione..
La questione dell’età: troppo vecchio per la Casa Bianca
Tenendo conto che il voto è segnato per il 5 novembre 2024 e che nei tempi della politica mancano ere geologiche, non è ancora chiaro quali saranno i temi al centro dell’agenda mediatica nei prossimi mesi. Le variabili sul tavolo sono molte: chi sarà il suo sfidante (ci arriviamo a breve), quali saranno gli indicatori dell’economia a sei mesi dal voto (quindi fra poco più di un anno) e quale sarà l’andamento della guerra in Ucraina. Tra queste variabili c’è però una costante: il fattore età.
Con i suoi 80 anni Biden è il presidente in carica più anziano di sempre. Nel caso di una rielezione alla fine del secondo mandato ne avrebbe 86. Un fattore che da un lato preoccupa gli elettori, dall’altro rischia di non scaldare la base democratica. Il Washington Post ha calcolato una media dei vari sondaggi su quanto sia “eleggibile” Biden. Solo il 38% degli elettori dem lo vorrebbe come candidato.
Il fattore dell’età aprirà almeno due fronti in casa dem. Il primo con attacchi diretti del Gop al Biden e alla sua capacità di essere in grado di guidare il Paese, il secondo contro la sua vice Kamala Harris, prima in linea di successione nel caso in cui Biden non sia in grado di concludere il mandato.
Il ruolo di Kamala Harris
L’ex senatrice della California non gode di una grande popolarità e infatti un sondaggio del Wall Street Journal ha rilevato che il 58% degli elettori non approva il suo operato. Il New York Times ha notato che paradossalmente la ribalta di Harris rischia di essere positiva sia per i suoi sostenitori che i suoi detrattori. Per i primi la sua figura, molto diversa da Biden, può aiutare a portare avanti i temi che scaldano la base dem come il diritto di accesso al voto, il diritto all’aborto e la lotta al cambiamento climatico. Per i secondi, soprattutto repubblicani ma non solo, la sua permanenza nel tandem con Biden li aiuterebbe a dimostrare che non è in grado di gestire la Casa Bianca e quindi di guidare il Paese.
In realtà molti ritengono la Harris una delle figure più deboli dell’amministrazione Biden. Secondo Chris Whipple, giornalista e autore di un libro sulla presidenza democratica, lo stesso Biden ha apostrofato la sua vice come un “work in progress”, un biglietto da visita un po’ inconsistente per chi potrebbe trovarsi a guidare il Paese. Negli ultimi due anni la vice è sempre sembrata in ritardo e in affanno. Il suo staff è stato rivoluzionato più volte e lo stesso Biden le ha affidato dossier spinosi, primo fra tutti la gestione delle crisi migratoria in Centro America.

L’incognita sfidanti
Sulla strada di Biden verso la rielezione ci sono però incognite anche esterne alla sua campagna. Primo fra tutti lo sfidante. A oltre 500 giorni dal voto non è ancora chiaro chi sarà il candidato repubblicano. Fino a gennaio-febbraio il papabile era Ron DeSantis. L’astro nascente del Gop era stato l’unico repubblicano a poter rivendicare una vittoria alle elezioni di metà mandato del novembre scorso, a fronte di un mezzo flop delle truppe trumpiane. Ma qualche mese dopo, complice anche il processo contro Donald Trump per i soldi alla pornostar Stormy Daniels, il tycoon è tornato pesantemente in gioco.
Trump vorrebbe provare una mossa difficile: tornare alla Casa Bianca dopo aver perso la rielezione per il secondo mandato. In passato, più precisamente nel 1890, un simile percorso era riuscito a Grover Cliveland ma era un altro mondo e un’altra epoca. Gli ultimi sondaggi nel campo repubblicano lo danno in vantaggio sul governatore della Florida, ma altri processi, ben più gravi di quello che si terrà a New York, incombono sul suo percorso. Al contrario DeSantis rimane ancora in attesa. Troppo presto per scoprire le carte. Membri del suo enturage hanno fatto filtrare che l’intenzione di correre alle primarie è forte. In molti, negli ambienti conservatori, sperano in una sua candidatura.
Sul solco di Trump, DeSantis si presenterebbe come il campione dei nuovi conservatori. Attento al business (la Florida durante la pandemia ha avuto indici di crescita migliori di altri Stati dell’Unione), ma soprattutto dei sentimenti della base contro i liberal woke. Celebri le sue campagne contro le eccessive restrizioni pandemiche dell’amministrazione Biden, la battaglie nelle scuole contro la critical race theory, la propaganda gender e il conseguente braccio di ferro con la Disney.

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I sondaggi e le tre debolezzi di Biden
E i sondaggi che dicono? Molto poco in realtà. Se è vero, nota FiveThirtyEight, che il 53,6% degli americani non approva il suo lavoro, è altrettanto vero che i sondaggi dicono tutto e il contrario di tutto. Ad esempio, evidenzia Nate Cohn sul New York Times, al momento la corsa è molto ravvicinata. Biden sarebbe avanti di 1,4 punti su Trump, ma indietro di meno di mezzo punto su DeSantis. Tutte rilevazioni abbondantemente nel margine di errore. Numeri che quindi non hanno praticamente valore. Nel 1982, tanto per fare un esempio, la maggioranza degli elettori americani, sei su dieci per la precisione, non voleva che Ronald Reagan si candidasse per un secondo mandato. All’epoca il suo indice di approvazione era addirittura più basso di quello di Biden, 41% a 42,1%. Eppure due anni dopo si è imposto su Walter Mondale con il 58,8% dei volti.
Più che i sondaggi in sé, nota ancora il Times, sono almeno tre i punti deboli di Biden da tenere d’occhio e che potrebbero segnare il suo cammino verso la riconferma. Il primo è il deterioramento dell’ambiente politico generale. Da un lato l’inflazione, che dà solo deboli segni di cedimento, dall’altro la polarizzazione politica che caratterizza la società americana, una spaccatura che Biden non è riuscito a sanare e che anzi pare acuirsi ogni giorno di più.
Il secondo è ricollegato all’età. Errori e inciampi della sua amministrazione, come ad esempio il ritiro dall’Afghanistan, avrebbero compromesso in modo irrimediabile la percezione della sua competenza come comandante in capo. Biden, questo il pensiero di una fetta dell’elettorato, non è più in grado di prendere decisioni vitali per il Paese e quindi è meglio non si ricandidi.
Il terzo è ricollegato alla sua capacità di riattivare la macchina elettorale. Quasi tutti i presidenti hanno avuto indici di gradimento intorno al 40% verso la fine del mandato, il caso Reagan, come abbiamo visto, era emblematico. Prima della pandemia anche Trump era in risalIta. Anche per Biden c’è quindi la possibilità di effettuare un rimbalzo pre voto. Per gli analisti una della leve potrebbe essere puntare sugli elettori che non amano Trump, ma anche qui resta l’incognita sull’eventuale nomination repubblicana del tycoon.
I tre segmenti in cui Biden fatica di più
Su questo “rimbalzo” peseranno soprattutto tre segmenti elettorali che nel 2020 gli permisero di mettere insieme una coalizione vincente: i giovani, gli elettori non bianchi, e gli americani a basso reddito. Gruppi sui quali Biden appare ora molto in affanno con una decina di punti percentuali in meno rispetto al voto di tre anni fa. Si tratta di gruppi-chiave che riflettono i problemi della sua agenda: il fattore dell’età, la variabile ecomica ed elettori poco interessati alle battaglie culturali dei dem più liberal. Ecco perché in questo senso il primo messaggio per la rielezione non parla a loro. Biden dovrà, ma non è detto che ci riesca, trovare argomenti più materiali, economici e molto meno astratti.