L’ascesa di Volodymyr Zelensky alla presidenza dell’Ucraina sembra aver sancito l’inizio definitivo dell’incamminamento del paese nell’orbita occidentale, che il predecessore Petro Poroshenko era stato incapace di portare avanti.
Kyev sta consolidando i legami bilaterali con i paesi-chiave della comunità euroatlantica, dagli Stati Uniti alla Polonia, ma è con la Turchia che si è instaurato un rapporto particolarmente privilegiato e intenso, che ha il potenziale per riscrivere lo status quo nell’area del Mar Nero.
Erdogan a Kyev
Il 3 febbraio il presidente turco è volato in Ucraina per discutere di numerosi temi, fra i quali questione tatara, commercio, investimenti, sicurezza e cooperazione nella difesa. Insieme all’omologo ucraino, Erdogan ha presieduto l’ottava seduta del Consiglio Strategico di Alto Livello Turco-Ucraino, nato nel 2011 per facilitare la creazione di un’area di libero scambio e libero movimento fra i due paesi.
Si tratta della seconda bilaterale ufficiale fra Erdogan e Zelensky nell’arco degli ultimi sei mesi. I due presidenti, infatti, si erano incontrati ad Ankara nell’agosto dell’anno scorso, affrontando le stesse tematiche e gettando le fondamenta per collaborazioni tecnico-militari e diplomatiche sorte nei mesi successivi.
Nel 2019 il volume degli scambi commerciali ha raggiunto quota 4 miliardi di dollari, una cifra considerevole ma nettamente inferiore rispetto ai primi anni 2000. L’intenzione dei due presidenti è di incrementare sensibilmente gli scambi annuali, di oltre il doppio, fino a 10 miliardi di dollari.
Ma il commercio rappresenta la parte meno importante dell’agenda di Erdogan, perché la cooperazione nell’industria della difesa è il vero leitmotiv. Nei giorni precedenti all’arrivo di Erdogan a Kyev si è tenuto un incontro fra i vertici delle forze armate dei due paesi per discutere di iniziare la produzione congiunta di armamenti, fra i quali droni e aerei cargo militari, e un investimento di Ankara nell’ammodernamento dell’esercito ucraino da 33 milioni di dollari.
Al termine dell’ottava riunione del consiglio strategico, i due presidenti hanno siglato diversi accordi di cooperazione, fra i quali uno nell’ambito tecnico-militare, un memorandum di intesa nel quale si impegnano a portare avanti i negoziati per la realizzazione dell’area di libero scambio, ed è stato confermato l’investimento turco nella modernizzazione e nel supporto delle forze armate ucraine.
Tatari e Crimea
Nel corso della visita non è mancato il focus sulla questione della penisola crimeana, un luogo di interesse strategico e dal valore simbolico per la Turchia alla luce della plurisecolare presenza dei tatari, un gruppo etnico turcico di religione islamica che è stato storicamente protetto da Ankara e, anche per questo, ritenuto nei secoli una quinta colonna della Sublime Porta.
Erdogan ha ribadito che l’annessione della penisola da parte russa non sarà riconosciuta, poiché illegale, e che il paese sostiene l’integrità territoriale e la sovranità dell’Ucraina e segue con attenzione la crisi in corso fra le autorità locali russe e il mondo tataro in subbuglio. Il presidente turco ha anche annunciato che si occuperà di provvedere alla risistemazione di quasi 500 famiglie tatare fuggite o espulse dalla Crimea.
Ciò che il presidente turco sta tentando di fare nell’ex cortile di casa della Russia per antonomasia è chiaro: approfondire la frattura con la Russia creatasi con Euromaidan ed accelerare la transizione dell’Ucraina nell’orbita euroamericana, ritagliandosi un ruolo di primo piano nel cambio di paradigma in virtù della posizione geostrategica rivestita e del dinamismo manifestato.
Le mire turche sul paese non sono da leggere in chiave esclusivamente antirussa, perché fanno parte di un più ampio contesto di elaborazione strategica mescolante neo-ottomanesimo, panturchismo e turanismo, che ha portato Ankara ad esporsi nuovamente, e pesantemente, in tutte quelle aree geopolitiche che un tempo furono sotto influenza diretta o indiretta ottomana, dai Balcani al Caucaso fino all’Asia centrale.
Se l’agenda neo-imperiale di Ankara dovesse avere successo, non soltanto l’Unione Europea si trasformerebbe in un giocatore minore nel suo stesso continente, ma anche la Russia vedrebbe significativamente ridimensionato il proprio raggio d’azione.