La Turchia non è nuova a nottate in cui improvvisamente, nel cuore delle sue città principali, compare l’esercito ed i carri armati iniziano a presidiare i punti più importanti di Istanbul ed Ankara; nella storia della repubblica turca, il ruolo dei militari è sempre stato importante ed è spesso stato visto come una vera e propria garanzia per il mantenimento dell’ordine e della laicità dello Stato.Prima del fallito golpe delle scorse ore, nella storia della Turchia moderna nata da Ataturk sono tre i colpi messi a segno dall’esercito; in ordine di tempo, l’ultimo risale a 36 anni fa: è il 12 settembre del 1980 quando il generale Kenan Evren porta le truppe ad occupare i simboli del potere ad Ankara e ad imporre il coprifuoco ad Istanbul e Smirne. L’esercito prende il potere, scioglie il parlamento e proclama di voler liquidare da subito il vecchio sistema politico fino ad allora in atto; dichiarati illegali i partiti precedenti al golpe, la giunta militare vara una nuova costituzione e diverse riforme economiche in senso liberale, prima di lasciare spazio nel 1982 al ripristino di un governo democraticamente eletto anche se Evren mantiene la presidenza della Repubblica fino al 1989. Il colpo di Stato del 1980 viene preparato già 12 mesi prima della sua attuazione; la Turchia in quel momento vive un momento di confusione istituzionale, dominato dallo scontro tra forze di destra e forze di sinistra, uno scenario non molto diverso da quello vissuto contestualmente in quegli anni in Italia e nella Repubblica Federale Tedesca.In molti sostengono che in Turchia, da questa confusione nata sul finire degli anni 70, a potersene avvantaggiare sono soprattutto le forze di estrema sinistra e proprio questa circostanza avrebbe portato l’esercito ad intervenire; la popolazione, che vive un momento di crisi economica non indifferente, vede di buon grado l’intervento dell’esercito o quantomeno inizia a sperare nella fine della confusione politica e sociale in cui è piombato il paese. Quel colpo di Stato, comunque, lascia importanti strascichi nella società turca, tanto da essere spesso rievocato sia in senso positivo che negativo nel corso degli anni; nel 2012, a distanza di 32 anni, è iniziato un processo contro lo stesso Evren e tutti gli altri principali responsabili del golpe, conclusosi due anni più tardi con la condanna all’ergastolo dell’ex generale golpista, morto comunque poi nel 2015.Ma le similitudini maggiori con quanto accaduto nelle scorse ore, è possibile tracciarle con il colpo di Stato del 1960, il primo della storia repubblicana della Turchia; quel golpe viene perpetuato soprattutto in nome della difesa della laicità dello Stato, giudicata a rischio dalle azioni dell’allora ‘uomo forte’ di Ankara, ossia quel Adnan Menderes a capo del governo dal 1950.Gli elementi di allora, assomigliano molto a quelli in campo nelle scorse ore: un politico al potere da un decennio, il cui governo aspira a riforme conservatrici da un punto di vista sociale e liberali da un punto di vista economico, un esercito che interviene a difesa della laicità dello Stato, proprio in un momento in cui il governo di Ankara in quei giorni annuncia un riavvicinamento a Mosca. Molte similitudini quindi con questi giorni; da un lato un Erdogan che interviene nella vita quotidiana dei turchi e consente nuovamente l’uso del velo alle donne nei luoghi pubblici, dall’altro lato 50 anni fa un Menderes che autorizza nuovamente gli imam a predicare in arabo. Allo stesso modo, si ha dal 2002 un Erdogan che in economia si mostra molto liberale, proprio come Menderes il quale, dopo anni di fedeltà agli Usa, per via di un grave buco nel budget riscontrato sul finire degli anni 50 annuncia l’intenzione di volersi riavvicinare all’URSS in cerca di nuovi fondi per rilanciare l’economia. Inoltre, proprio come Erdogan, la base elettorale di Menderes è costituire dalla Turchia più periferica, quella delle campagne anatoliche mentre nelle grandi città la resistenza al suo governo è molto forte.L’unica differenza è l’esito del Colpo di Stato; in quel 27 maggio del 1960, i 37 fautori del golpe (tutti giovani ufficiali e nessun colonnello tra di loro, altra similitudine con le scorse ore) riescono a destituire Menderes, il quale viene rinchiuso nell’isola di Yassaida ed impiccato dopo circa un anno a seguito di un processo. I militari vanno quindi al potere, la presidenza viene assegnata a Cemal Gursel, comandante in capo dell’esercito che per la verità non prende parte al golpe ma la cui popolarità è decisiva per l’assegnazione a lui della gestione del periodo di transizione; così come negli altri colpi di stato turchi, anche in questo caso il potere militare dura poco e nel 1961 i partiti politici sono tornati di nuovo alla guida del paese, con esclusione ovviamente del partito di Menderes (il Partito Democratico turco).Nel 1971 invece, il colpo di Stato è stato attuato senza sparare un colpo; il golpe passa alla storia infatti come ‘colpo del memorandum’, ossia l’attuazione della destituzione del governo dopo che l’esecutivo non ha rispettato le richieste dei militari contenute proprio in un memorandum inviato il 12 marzo di quell’anno. A seguito della minaccia di intervento dell’esercito, il governo decide di dimettersi ancor prima che le camionette escano dalle caserme; in quel caso, è stata ancora una volta la crisi economica e la minaccia alla laicità dello Stato a causare l’ingresso diretto dei militari nella vita politica turca.L’esercito quindi ad Ankara ha spesso avuto la funzione di vero e proprio custode dei principi fondanti della Repubblica di Turchia e del ‘Kemalismo’, ossia della dottrina di Ataturk Mustafah Kemal, padre della nazione; in molti si chiedono adesso da quale ala dell’esercito proviene il progetto del colpo di Stato, visto che nei primi anni 2000 Erdogan si è affrettato a ridimensionare la parte per l’appunto ‘Kemalista’ dei militari. Un mistero che solo quando la situazione ad Ankara sarà del tutto tranquilla potrà essere risolto.
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