Ultima chiamata dall’altra sponda del Mediterraneo. La Tunisia, la cosiddetta culla della primavera araba, rischia di sprofondare nel caos. A oltre quattro mesi dalle elezioni parlamentari del 15 settembre 2019, la Tunisia è una nazione senza un governo sovrano e senza una chiara direzione politica da seguire. Le casse pubbliche sono sempre più vuote, la popolazione è inquieta e delusa da una rivoluzione che doveva cambiare tutto ma che di fatto non ha cambiato niente. Ai confini meridionali la guerra in Libia si è trasformata in un conflitto regionale sempre più ampio da cui Tunisi – che pure avrebbe voce in capitolo, per motivi geografici, economici (la Libia era il suo primo partner commerciale) e di sicurezza – è stata esclusa. Il vuoto lasciato dalla morte del presidente Beji Caid Essebsi, ultimo baluardo del fronte laico nazionale e rispettato leader del mondo arabo, non è stato colmato. In molti temono una svolta islamista nel paese che i politici europei amano chiamare “perla rara del Mediterraneo”, ma che poi di fatto ignorano come avvenuto con la Conferenza di Berlino sulla crisi in Libia.
La crisi politica
Il frammentato voto di settembre ha premiato il partito musulmano Ennahda, che però non è in grado di formare un governo da solo. Il primo tentativo di sbloccare l’impasse del presidente della Repubblica Kais Saied, un neofita della politica considerato ultraconservatore sui diritti civili, non è andato a buon fine. La missione affidata al semi-sconosciuto Habib Jomli, un indipendente manovrato da Ennahda, è fallita in modo piuttosto misero. Il cosiddetto esecutivo di “competenze nazionali” proposto dall’ex sottosegretario dell’Agricoltura (curiosamente, il terzo sottosegretario di fila a essere indicato come primo ministro dopo Habib Essid e Youssef Chahed) non ha passato l’esame del parlamento. Lo scorso 10 gennaio, infatti, solo 72 voti deputati hanno votato a favore dell’esecutivo proposto, a fronte di 134 voti contrari e tre astensioni. Il capo dello Stato è stato quindi costretto a tornare sui suoi passi e affidare l’incarico a Elyes Fakhfakh, esponente del partito di centrosinistra Ettakattol, che però in questa legislatura non vanta alcun seggio in parlamento. Come spiegato da “Agenzia Nova”, il nuovo premier incaricato avrà trenta giorni di tempo per presentare la sua squadra di governo e sottoporsi al voto di fiducia del parlamento. In caso contrario, Saied potrà sciogliere l’Arp e convocare nuove elezioni legislative entro un massimo di 90 giorni.
Chi è il nuovo premier incaricato
Classe 1972, il nuovo premier incaricato è un social-democratico ex ministro della “troika”, il triumvirato Ennahda-Ettakol-Congresso della repubblica durante il quale il paese rischiò di sprofondare nel caos e nella guerra civile. In quegli anni Chokri Belaid, leader del partito di sinistra al Watan, venne freddato il 6 febbraio 2013 davanti alla sua abitazione nel quartiere di El Menzah, a Tunisi, e Mohamed Brahmi, altro esponente della sinistra tunisina, fu assassinato nel 25 luglio del 2013. I mandanti degli omicidi restano ignoti, ma la magistratura sta indagando sul presunto coinvolgimento del servizio segreto “parallelo” di Ennahda. Nonostante il partito Ettakattol appartenga alla famiglia social-democratica, il nuovo premier incaricato è considerato in patria come un politico di centro-destra. Vicino alla sinistra francese e appoggiato dall’Internazionale socialista, Fakhfakh è legato al Fondo monetario internazionale (Fmi) che finora ha già erogato alla Tunisia circa 1,6 miliardi di dollari. Non solo: all’inizio della carriera ha lavorato per la società petrolifera francese Total con l’incarico di risolvere problematiche tecniche ed organizzative nei siti europei, statunitensi e asiatici.
Il passaggio in parlamento
“Al 70 per cento, Fakhfakh dovrebbe formare il nuovo governo”, spiega a InsideOver una fonte politica di alto livello. Per ottenere la fiducia, il “mini-team” annunciato Fakhfakh dovrà ottenere il benestare 109 deputati su 217. I 52 parlamentari di Ennhada dovrebbero esprimersi a favore del nuovo esecutivo. Del resto Fakhfakh ha già lavorato insieme agli islamici come ministro delle Finanze ai tempi della troika e finora dal partito musulmano sono arrivate parole di apertura. Anche i 41 deputati del Blocco democratico dovrebbero votare per il nuovo governo. Il nome di Fakhfakh è stato fatto dalla Corrente democratica, una delle due forze che compongono il blocco parlamentare di sinistra. L’altro partito, il Movimento del popolo, ha fatto sapere che non si opporrà al nuovo governo, riservandosi però il diritto di giudicare il programma. Il nuovo premier dovrebbe incassare anche il voto dei 14 deputati del partito laico-progressista Tahya Tounes, che ha già promesso di lavorare per il successo del nuovo premier governo. Con una base di partenza di almeno 107 seggi, per il nuovo premier incaricato non dovrebbe essere difficile trovare altri due voti per arrivare alla maggioranza. Fondamentale, da questo punto di vista, sarà il voto dei tanti deputati indipendenti. Una cosa però è certa: la Tunisia – prima nazione di provenienza dei migranti illegali sbarcati in Sicilia nel 2019 (almeno 2.654 secondo i dati del Viminale) – non può più permettersi di aspettare.