Risulta difficile essere fonte di “discontinuità” dopo un premier britannico come Boris Johnson che, nel bene e nel male, ha ridefinito notevolmente i canoni della politica britannica. Liz Truss e Rishi Sunak, i concorrenti per l’eredità della premiership e la guida del Partito Conservatore, lo sanno bene. E per convincere i 160mila membri del partito che, per la terza volta di fila, sceglieranno il nuovo inquilino di Downing Street stanno provando una notevole difficoltà a presentarsi come candidati capaci di prendersi i Tory sulle spalle. Tanto da apparire sempre più iconicamente identitari nelle loro proposte politiche per presentarsi come “veri Conservatori”, di ieri e di oggi.
La visione thatcheriana di Liz Truss
Liz Truss vuole far dimenticare il suo passato da sostenitrice del Remain e far pesare il suo tentativo di mostrarsi come erede della Lady di Ferro, Margareth Thatcher, arrivando dove il secondo premier donna della storia britannica, Theresa May, non era riuscita. Nelle sue proposte emergono in primo luogo tentativi di solleticare la pancia all’elettorato Tory muovendosi sul terreno dei grandi tagli fiscali a favore dei redditi medi e medio alti, ma anche sui consumi. Più volte, interrogata su come intendesse aiutare le famiglie che affrontano aumenti notevoli delle bollette e rischiano di vedere il livello medio dei prezzi dell’energia aumentare di oltre 2.000 sterline nel 2022, Truss ha insistito sul fatto che la risposta erano tagli fiscali e riforme dal lato dell’offerta. Inoltre, Truss, che usa molto spesso il mantra thatcheriano sul fatto che non esiste denaro pubblico ma solo “denaro dei contribuenti”, ha proposto di tagliare dell’1,25% l’aumento del prelievo fiscale per il welfare del National Insurance aggiunto dal governo Johnson alle imposte sul reddito britanniche.
Inoltre, Truss propone di ridurre i prelievi fiscali sull’energia green per aprire alla dinamica johnsoniana del conservatorismo “verde”, bloccare ogni aumento dell’imposta sugli utili societari e portare al 3% la spesa militare in rapporto al Pil entro il 2030. La “thatcheriana” Truss prevede insomma misure dal valore economico di oltre 50 miliardi di sterline: 30 sul fronte dei tagli fiscali, 23 su quello della nuova spesa militare.
Sul fronte geopolitico, Liz Truss persevera nel presentare la sua visione di una Global Britain dinamica, forte, occidentalista. Ha attaccato duramente la Russia e la Cina, ritenute minacce all’ordine occidentale, in continuità delle sue scelte da ministro degli Esteri. Ha, in direzione dell’obiettivo di far presa sul nuovo elettorato conservatore, anche consolidato le sue critiche all’Unione Europea. Il memorandum sull’Irlanda con cui ha, provocatoriamente, messo in campo la proposta di ridiscutere unilateralmente il protocollo firmato con Bruxelles che impone la dogana interna al Regno Unito al confine tra Gran Bretagna e Ulster è parso da molti come una mossa di vera e propria caratura elettorale.
Sunak, la bolicia di BoJo senza Johnson
Sunak, assieme a Savid Javid tra i primi frondisti a colpire il governo del padrino politico Johnson dimettendosi dall’incarico prestigioso di Cancelliere dello Scacchiere, non è in certi sensi da meno. La sua visione politica è, a tutti gli effetti, un recupero di Boris Johnson in assenza di Boris Johnson. Sunak, nota Il Post, “ha insistito molto su temi come la sicurezza e l’immigrazione, molto cari all’elettorato conservatore, anche in questo caso con proposte piuttosto estreme. Sunak ha per esempio espresso il proprio sostegno al discussissimo accordo tra Regno Unito e Ruanda per il trasferimento nel paese africano di alcuni dei richiedenti asilo entrati illegalmente nel Regno Unito”. Inoltre ha continuato a proporre l’idea di liberalizzare la finanza di Londra aprendo alla “Singapore sul Tamigi” desiderata dai promotori della Global Britain.
La sua visione economica, da ex stratega delle politiche in materia del governo di BoJo, si ispira a una maggiore gradualità, criticando quelle che ritiene essere le proposte “populiste” di Liz Truss. Per Sunak “Liz vuole tagliare le tasse per sette settimane, io voglio farlo per sette anni”, annunciando che se sarà eletto premier taglierà l’aliquota di base dell’imposta sul reddito nel 2024 dal 20% al 19%, seguita da ulteriori tagli per raggiungere infine il 16% entro il 2029. Sul fronte energetico, invece, Sunak insegue la strategia di Johnson di andare incontro ai redditi medio-bassi e all’elettorato dell’ex Muro Rosso conquistato dai Conservatori nel 2019. Politiche di spesa, sussidio e sostegno ai redditi, manovre contro il carovita e programmi di helicopter money simili a quelli anti-pandemici sono nella sua agenda.
I problemi dei tories
In entrambi i casi quel che sembra mancare è una visione di sistema. “Se c’è mai stato un momento in cui i conservatori avevano un disperato bisogno di mostrare competenza e pragmatismo, è arrivato”, ha notato il Financial Times. La Gran Bretagna è “in bilico sull’orlo della stagflazione. I redditi delle famiglie affrontano una feroce offensiva legata all’alta inflazione e alla crescita in via di estinzione” e i due candidati alla premiership non riescono a dare una visione strutturale per unire contrasto alle esigenze di breve periodo, politiche di medio cabotaggio e strategie di lungo termine. Si parla molto di tasse, meno di investimenti strategici o di piani ambiziosi come quelli su infrastrutture e energia che Johnson aveva allo studio prima del voto del 2019 e della pandemia.
Si parla molto di riferimenti del passato, meno di futuro. Truss vuole essere la nuova Thatcher, ma vola nei sondaggi principalmente per l’odio dei johnsoniani per Sunak, che preferiscono una Remainer a uno storico Brexiter. L’ex Cancelliere ha silurato il governo di cui faceva parte e la prospettiva di esserne l’erede naturale per poi ricalcarne le posizioni. Quel che emerge è il fatto che la coesione che BoJo ha saputo dare al partito, tramontata per scandali e problemi intestini, sia esplosa. E da qui al voto del 2024 il futuro premier dovrà gestire la fase più dura: tenere coeso un partito che, dopo dodici anni di governo consecutivi e diverse sfide affrontate, perde gradualmente lucidità e qualità della classe dirigente. Come dimostrato dall’arroccamento dei candidati nella confusa campagna elettorale in corso.