7 novembre 2020. Dopo giorni di incertezza nel conteggio dei voti arriva la conferma del vincitore della corsa alla Casa Bianca. Poche ore dopo Joe Biden pronuncia il suo discorso della vittoria promettendo al Paese di voltare pagina dopo quattro anni di gestione caotica del potere e dichiarando di voler ricostruire l’anima dell’America e rendere di nuovo rispettata nel mondo la più grande democrazia.
Il presidente aveva appena finito di parlare e le note di Higher love di Whitney Houston risuonavano ancora all’interno del Chase Center di Wilmington nel Delaware ma nelle cancellerie occidentali l’euforia per la vittoria del loro candidato preferito cominciava già a mescolarsi a fosche previsioni. Infatti, il danno arrecato da Donald Trump alle relazioni internazionali con Paesi alleati degli Stati Uniti era, e lo è tuttora, talmente significativo da aver generato un trauma da cui il Vecchio Continente stentava a riprendersi. Da Bruxelles a Berlino, da Stoccolma a Parigi il vero interrogativo ruotava attorno ad un unico scenario. E se la vittoria del presidente democratico fosse solo una breve parentesi prima del ritorno del disruptor in chief al 1600 di Pennsylvania Avenue?
Sino ad ora le dinamiche legate alla corsa repubblicana alla nomination e i guai legali di Trump non hanno intaccato la popolarità dell’ex presidente dimostrando come le preoccupazioni dei leaders europei all’epoca non fossero del tutto fuori luogo. Questa volta nessuno vuole farsi trovare impreparato come accaduto nel 2016 quando l’elezione del milionario colse tutti di sorpresa. Per la prima volta dal secondo dopoguerra, l’Europa si trovò ad affrontare due “cigni neri” a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro che ne misero a dura prova l’unità: la vittoria della Brexit e quella del tycoon.
Trump aveva lasciato intravedere cosa pensasse dei partners europei già in campagna elettorale quando aveva definito Bruxelles un “buco d’inferno”. A suo dire, le capitali del Belgio e della Francia erano prossime a diventare città governate dalla legge islamica. L’ingresso alla Casa Bianca non aveva contribuito a ridimensionare i toni del milionario, il quale era presto arrivato a minacciare l’uscita degli Stati Uniti dalla Nato e a dichiarare l’Unione europea un nemico a causa delle sue politiche commerciali. Non stupisce pertanto che i leaders del Vecchio Continente vedano in un Trump 2.0 il peggiore dei mondi possibili. Uno scenario da incubo che potrebbe addirittura essere peggiore di quanto già visto durante il primo mandato del repubblicano.
L’ex presidente, che ha sempre mostrato un fascino per i capi di Stato autoritari riservando in passato elogi nei confronti di Vladmir Putin, ha già fatto sapere di essere pronto a porre fine in un giorno alla guerra in Ucraina. La predisposizione a trattare con Mosca bypassando Kiev sta già togliendo il sonno ai rappresentanti delle istituzioni europee. Ma questa non è l’unica fonte di preoccupazione. L’abbandono della Nato, spesso evocato, è una prospettiva più che concreta.
Se durante la sua amministrazione l’influenza di una ristretta cerchia di consiglieri era riuscita a tenere a bada i peggiori istinti del presidente, un suo secondo mandato potrebbe raffigurarsi in maniera ben diversa. Molti tra gli assistenti dell’ex presidente che ricoprivano il ruolo di “moderati” hanno infatti preso posizione pubblicamente contro il tycoon attraverso libri ed interviste.
Il ritorno di Trump alla Casa Bianca potrebbe essere caratterizzato quindi dall’assenza di freni e da una volontà di vendetta dovuta alla duplice convinzione di aver vinto anche le elezioni del 2020 e di essere un perseguitato del sistema giudiziario. La sua instabilità potrebbe manifestarsi in una politica estera isolazionista contraria a rinnovare il supporto all’Ucraina e liberarsi degli alleati “scrocconi” che dipendono dal supporto americano.
Come pensano di agire dunque gli europei di fronte al possibile scatenarsi della Trumpocalypse? “È un incubo. È un qualcosa per cui non ti puoi preparare” ha confidato a Politico un diplomatico del Vecchio Continente che ha voluto rimanere anonimo. La mancanza di un piano di emergenza di fronte all’ipotesi di un Trump bis è confermata da Ulrich Speck, un’analista di politica estera secondo cui Francia, Germania e Regno Unito sono in preda ad una forma di “sonnambulismo”. Norbert Röttgen, membro del parlamento tedesco, ha affermato che il suo governo “sta ripetendo gli errori del passato” e dovrebbe collaborare con più convinzione con i suoi alleati per “sviluppare una politica di difesa indipendente“.
Sono pochi i Paesi che non guardano con terrore all’ipotesi di un ritorno di Trump. Per il primo ministro Viktor Orbán il candidato repubblicano è l’uomo che può ”salvare il mondo occidentale” e la Polonia ospita sul suo territorio una base intitolata al milionario, a testimonianza del rapporto positivo instaurato da Varsavia con il 45esimo presidente Usa. Si tratta però di una visione minoritaria.
Per diversi analisti il ritiro degli Stati Uniti dal Patto atlantico provocherebbe un’irreparabile spaccatura anche nell’architettura di sicurezza europea che potrebbe portare alla formazione di diverse coalizioni di Paesi in contrasto l’una con l’altra. Una riedizione del sistema di alleanze simile a quello in vigore in Europa alla vigilia della Prima guerra mondiale e potrebbe segnare la fine del progetto comune europeo.