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L’Iran continua a essere in cima alla lista nera dell’amministrazione Trump, e uno dei principali obiettivi della politica estera americana. Nonostante le crescenti tensioni con la Corea del Nord, la sfida al commercio cinese e l’innalzamento delle tensioni con la Russia, il presidente degli Stati Uniti non ha dimenticato l’importanza dell’Iran nel contesto mediorientale, e vuole colpire ad ogni costo la possibilità che Teheran espanda la propria influenza. È in questo contesto di tensione, che giungono le rivelazioni del Guardian riguardo alle pressioni che la Casa Bianca sta facendo sull’intelligence statunitense per riuscire a trovare una qualsiasi prova sul mancato rispetto degli accordi sul nucleare del 2015 da parte dell’Iran. Pressioni molto forti, che stanno mettendo a dura prova la capacità dei servizi statunitensi di rispettare gli ordini di Washington, e che rischiano di generare una frattura politica profonda fra una parte dell’intelligence americana e la presidenza.

Non è un mistero che Donald Trump abbia intenzione di dichiarare la Repubblica islamica dell’Iran come Stato irrispettoso dell’accordo. E questa scelta dovrebbe essere formalizzata a metà ottobre, nel momento in cui il presidente degli Stati Uniti dovrebbe firmare la certificazione trimestrale di conformità all’accordo sul nucleare, come previsto dai trattati.  La Casa Bianca sembra intenzionata a non dare il suo consenso al proseguimento degli accordi. Una scelta che ha destato parecchie perplessità nell’ambito dell’intelligence statunitense, soprattutto per il fatto che i servizi che si occupano della documentazione a riguardo, in particolare la Cia, si sentono scavalcati dal potere politico. Come ha sostenuto David Cohen, ex vicedirettore della Centrale Intelligence Agency, il rischio della politicizzazione dei rapporti dell’intelligence è quello di minare la stessa capacità dei servizi di sicurezza, perché andrebbe a ledere la stessa utilità delle informazioni. I servizi segreti devono informare il presidente di ciò che accade, non di ciò che deve accadere affinché si giustifichi ciò che la presidenza vuole fare in un determinato momento.

Il motivo di questa dura presa di posizione della Cia è evidente, e risale al 2003, in particolare con l’invasione dell’Iraq. A quei tempi, Stati Uniti e Regno Unito fecero enormi pressioni sulle rispettive intelligence per produrre prove false sulla presenza di armi chimiche e batteriologiche all’interno degli arsenali di Saddam Hussein, giustificando la guerra. Gli analisti dell’intelligence statunitense, sconvolti dall’esperienza della guerra in Iraq del 2003, quando l’amministrazione Bush lanciò gli Usa in guerra sulla base di prove fraudolente di armi di distruzione di massa, hanno iniziato a resistere alle pressioni della Casa Bianca sull’Iran. E la denuncia al Guardia è la dimostrazione che esiste una parte dei servizi non allineata alla politica della nuova amministrazione. In questo senso, sono molto interessanti le parole di Ned Price, ex analista della CIA che ha anche servito come portavoce del consiglio nazionale di sicurezza e come assistente speciale di Barack Obama. “Mi hanno detto che c’era un senso di ribrezzo. C’era un senso di dejà vu”.

La speranza, a detta di molti analisti e politici, risiede nel fatto che Donald Trump non possa ignorare quanto sostenuto dall’intelligence, non solo americana ma anche europea, nonché i rapporti dell’AIEA. Nessuno, attualmente, è in grado di provare che l’Iran abbia violato l’accordo sul nucleare raggiunto nel 2015. I servizi d’informazione europei che partecipano al controllo e alla documentazione sugli sviluppi del programma nucleare iraniano sono tutti concordi nel sostenere che Teheran stia rispettando quanto previsto dai trattati siglati. Ma potrebbe non bastare. Le pressioni su Trump sono molto forti, sia esterne sia interne. A livello internazionale, Israele preme affinché gli Stati Uniti adottino una politica molto dura nei confronti dell’Iran, e da tempo considerano gli accordi sul nucleare una sorta di tradimento rispetto all’alleanza fra Washington e Tel Aviv. Sul fronte interno, l’astro nascente della politica estera americana, la rappresentante all’Onu, Nikki Haley, è da tempo sul piede di guerra nei confronti dell’Iran e sta facendo di tutto per indurire la politica di Trump nei confronti di Teheran. Il suo viaggio a Vienne per premere sull’AIEA affinché visiti in modo più dettagliato e invasivo le centrali iraniane è stato un segnale importante.

Il problema per gli Stati Uniti deriverebbe dall’isolamento internazionale. Le pressioni sull’intelligence dimostrano che la Casa Bianca vuole accusare l’Iran di non rispettare gli accordi sul nucleare, ma questo porterebbe a tre conseguenze gravi. La prima è che gli Stati europei che vigilano sul nucleare iraniano potrebbero fare muro contro gli Stati Uniti creando una spaccatura molto forte all’interno del mondo occidentale: con conseguenze pericolose nei rapporti fra Usa ed alleati europei. La seconda, è che gli Stati Uniti troverebbero l’ostilità di Cina e Russia, che da anni collaborano con l’Iran e che non vogliono alcuna destabilizzazione ulteriore in Asia: la Russia per evitare un conflitto che coinvolge un alleato come Teheran; la Cina perché non vuole che gli Stati Uniti s’interessino dell’Asia e necessità di stabilità per espandere il suo mercato. La terza conseguenza, altrettanto rischiosa, sarebbe quella di un’escalation nucleare dell’Iran, che, sentendosi alle corde, potrebbe anche scegliere di rompere con gli accordi e riattivare il programma nucleare.

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