“Trump è un narcisista, megalomane ed è mentalmente instabile”. Questa “diagnosi” è estrapolata dal manifesto contro il Trumpismo redatto dallo psicologo americano William Doherty dell’Università del Minnesota. Il manifesto è stato firmato da ben 2.200 psicologi americani e fu pubblicato durante la corsa alla Casa Bianca. Nello stesso si poteva leggere come la vittoria di Donald Trump potesse essere un rischio per gli Stati Uniti. Gli attacchi sulla “salute mentale” del tycoon sono proseguiti anche dopo il suo insediamento. Bernie Sanders l’ha definito “bugiardo patologico”. Il senatore All Franken sostiene invece che alcuni repubblicani “sono preoccupati circa la salute mentale del presidente”. Tra i 2.200 psicologi e i senatori che hanno diagnosticato una “psicosi” latente in Trump, non vi è nessuno che possa vantare di aver avuto The Donald in terapia. Si tratta dunque di un attacco privo di qualsiasi fondamento scientifico.Le diagnosi non sono legittimeL’aggravante è che l’American Psychiatric Association ha ribadito che ogni analisi psicologica relativa ad un personaggio pubblico è contraria all’etica della professione di psicologo. L’Associazione conferma quanto era già stato detto nel 1973 dopo il caso Goldwater. L’allora Senatore repubblicano Berry Goldwater venne etichettato da alcuni psicologi come “pericoloso lunatico”. Il risultato? Goldwater querelò gli psicologi che lo avevano infangato senza motivo e ottenne un risarcimento di 75.000 dollari. Un duro colpo per la comunità di psicologi americana. La psicologia dietro Trump e al suo linguaggio è molto più complessa dell’analisi spiccia proposta dagli psicologi americani.Un manuale per The DonaldI caratteri di leadership, presa di responsabilità di fronte a decisioni “scomode” (come il muslim ban) e emotività hanno origine più di due secoli fa. Trump è l’incarnazione moderna del “capo” descritto nel saggio di Gustav Le Bon “Psicologia delle folle” del 1895.Più che di un saggio, si tratta in realtà di un vero e proprio manuale di training per un aspirante leader politico. Il saggio di Le Bon è stato fonte d’ispirazione di tutti i leader occidentali della prima metà del ‘900. Venne poi “parcheggiato” in soffitta dopo il 1945, perché era associato a leader di regimi totalitari, come Hitler e Mussolini. In realtà anche Churchill e Roosvelt furono avidi lettori del manuale di Le Bon. Trump, o per lo meno i suoi spin doctors, hanno riesumato il prezioso libro.Nel manuale Gustav Le Bon descrive infatti i tratti psicologici che animano una massa di persone. Queste si trovano spesso a perdere le proprie identità individuali, favorendo la nascita di un’identità collettiva. Il capo è invece colui che riesce a mantenere la propria identità individuale. Le Bon enuncia quattro regole fondamentali per il successo del leader. Trump sembra averle rispettate tutte o quasi.Le quattro regole per comandarePrima regola: comandare ricorrendo ai sentimenti più che alla ragione. Il che non vuol dire comandare in maniera illogica, come molti credono. In realtà vuol semplicemente dire che il leader spiega le decisioni prese in maniera emotiva. Le ragioni che stanno dietro all’azione le tiene per sé. Il muslim ban può essere un esempio emblematico di ciò. Spiegato come funzione anti terroristica e quindi per abbassare il livello di paura (piano emotivo) degli americani, può essere in realtà spiegato come atto contro il processo di globalizzazione.Seconda regola: ricorrere al mito. Il mito di Trump è quello delle origini, “America agli americani” e “Make America Great Again”. Padroni a casa nostra e di nuovo grandi, come una volta.Terza regola: comportati come il capo. Trump, imprenditore un po’ spavaldo e guascone, è proprio ciò che gli americani desiderano essere. Frustrati da un decennio di crisi economica e da un establishment snob, i lavoratori statunitensi sognano una rivalsa contro questa classe di multimiliardari della finanza e degli intellettuali al loro seguito. Trump è lo schiaffo simbolico degli americani contro questa classe dirigente.Quarta regola: la fede incondizionata nel capo. Questa è l’unica regola su cui Trump deve ancora lavorare. Il tycoon è infatti finora stato un presidente esclusivo, che ha diviso gli americani. Se però Obama ha iniziato il suo mandato come presidente inclusivo, per poi terminare nella quasi totale impopolarità, Trump potrebbe percorrere il processo inverso. Il muslim ban vuole essere proprio una “prova” su questa regola. Si tratta infatti di un atto presidenziale criticabile in molti aspetti e che richiede dunque un atto di fede da parte dei cittadini.Un mix tra passato e futuroThe Donald è stato poi in grado di dare una lettura moderna al manuale di Le Bon. Se infatti lo psicologo francese si raffrontava con una realtà fatta di grandi adunate di folle, tipiche di inizio ‘900, Trump agisce in un’epoca in cui questo fervore non è più in strada. Le grandi manifestazioni oggi sono sul web. Non a caso Trump è il primo presidente americano che, in carica, utilizza Twitter per comunicare ai suoi cittadini. Trump ha capito che i giornali e le tv fanno parte, nell’immaginario collettivo, proprio dell’establishment. Così il tycoon non si fa problemi a bypassarle e parlare in linea diretta con i cittadini americani. Trump ha dunque rotto gli schemi della comunicazione politica contemporanea, unendo la tecnica del passato con gli strumenti del futuro. Una doppia sconfitta per chi oltre ad avversarlo sul piano politico, pensava che il tycoon fosse mentalmente inadeguato.





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