Donald Trump non è il primo sovranista ad essere stato sconfitto. Quella del tycoon è forse la battaglia persa più pesante, ma prima delle elezioni presidenziali americane del 2020 sono state combattute altre contese campali. Le stesse attraverso cui i sovranisti si sarebbero voluti imporre, cambiando i paradigmi di un mondo, che invece sembra essere sempre più “globalista”, secondo le categorie proprie degli stessi populisti. Per quanto “sovranisti” e “populisti” non siano sinonimi, del resto, quel fronte critica in maniera comune gli attuali modelli di sviluppo economico. Eppure, i sostenitori della “società aperta” continuano a convincere le maggioranze che si esprimono nelle varie competizioni. Come mai?
Ogni elezione è a sé: questo è un assunto che non può essere messo da parte quando si fa un ragionamento di questo tipo. Ma è anche vero che, oltre alla vittoria di Trump nel 2016 ed alla Brexit targata Nigel Farage prima e Boris Johnson poi, le vittorie dei sovranisti sono state più ventilate dai media che realizzate sul piano pratico. Dalle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo, passando per le elezioni presidenziali francesi e per tante altre singole elezioni nazionali, il sovranismo avrebbe dovuto dire la sua in molte circostanze, ma per ora a prevalere sono state le forze di centrosinistra. Trump era l’architrave di una partita che avrebbe dovuto riguardare la messa in discussione del modello attuale, che invece va consolidandosi. L’ex presidente degli States oltre che un uomo delle istituzioni era un simbolo e la speranza di un modello, che in molti avrebbero voluto replicare altrove, Europa compresa.
Il Covid-19 e la crisi economica dovuta alla pandemia hanno di sicuro rappresentato dei fattori essenziali per il voto in Usa, ma può bastare a spiegare il perché una candidatura considerata di sicuro vincente sino a qualche mese fa sia sprofondata sotto i colpi di un ex vicepresidente Democratico come Joe Biden? Capiamoci, Biden è un politico di lungo corso, ma non un trascinatore di folle. Eppure, al netto dei presunti brogli di cui parla Donald Trump, risulterà il presidente più votato della storia degli Stati Uniti.
Alcuni commentatori, in alcuni casi anche vicini alla causa sovranista, pensano che queste formazioni politiche non riescano a passare dal lato della protesta a quello della proposta. È quello di cui abbiamo parlato anche con qualche fonte interna, che ha preferito rimanere anonima: “Non riuscendo a trasformare la protesta in proposta, le destre non riescono a convertire il dissenso in consenso”, aggiunge la medesima fonte. Si tratta di uno dei tanti ragionamenti in campo. Può sembrare banale come riflessione, ma forse non lo è.
Il progetto di un’internazionale populista – come avrebbe voluto Steve Bannon – intanto, sembra essere tramontato in modo definitivo. La sconfitta di Trump, a meno di sorprese clamorose, permetterà al Gop di provare a normalizzarsi, abbandonando a mano a mano il trumpismo. Non sarà semplice, ma le frange neo-conservatrici interne ci proveranno. Nel caso cadesse il mito interno del trumpismo, la destra americana proverà ad inseguire i Democratici sul campo della istituzionalizzazione. E non è detto che questa si riveli una scelta vincente. Intanto Giorgia Meloni, uno dei leader dei sovranisti di casa nostra, ha parlato con La Stampa delle motivazioni alla base della sconfitta subita da The Donald: sarebbe stata la pandemia da Covid-19 a mettere Trump al tappeto. Un’altra delle letture possibili.
Fatto sta che il sovranismo non riesce di questi tempi a soddisfare le aspettative delle previsioni che pronosticano un avvento dirompente del nazionalismo. La partita potrebbe, e anzi con molte probabilità è così, non essere chiusa, soprattutto perché i sovranisti possono continuare a contare su un elettorato che sfiora spesso la maggioranza dei consensi. Ma l’ondata nazionalista su cui i media progressisti, la Chiesa cattolica a trazione bergogliana, gli opinion maker di sinistra ed altri commentatori avvertono da tempo sembra avere qualche difficoltà a palesarsi.