Gli Stati Uniti hanno elevato nuove sanzioni alla Russia per il sospetto avvelenamento con gas nervino dell’ex agente dei servizi segreti Sergei Skripal avvenuto a marzo del 2018.

Il presidente Trump ha firmato il provvedimento nella giornata di ieri in forza del Chemical and Biological Weapons Control and Warfare Elimination Act, e a seguito di una lettera bipartisan firmata dai leader del Comitato Affari Esteri della Casa Bianca Eliot Engel (Dem) e Michael McCaul (Rep) sottoposta all’attenzione dello Studio Ovale all’inizio di questa settimana.

L’amministrazione Trump ha già emanato una prima serie di sanzioni per il caso Skripal ad agosto del 2018. In quell’occasione l’atto firmato prevedeva che se ne imponessero delle nuove entro 90 giorni se non si fosse certificato che la Russia non avrebbe più avuto modo di usare armi chimiche e se il Cremlino non avesse dato garanzie che non avrebbe più utilizzato questo tipo di aggressivi.

Le nuove sanzioni

Il nuovo decreto sanzionatorio americano prevede che sia proibita l’estensione di ogni tipo di prestito o assistenza finanziaria o tecnica alla Russia da parte di istituti di credito o altre istituzioni finanziarie. Inoltre a tutte le banche Usa è fatto divieto emanare crediti o altre forme di finanziamento alla Russia fatto salvo per l’acquisizione di generi di prima necessità come cibo o prodotti agricoli.

Questo nuovo pacchetto di sanzioni è rimasto a lungo sepolto nei meandri della burocrazia della Casa Bianca sin da marzo, quando incaricati del Tesoro e del Dipartimento di Stato hanno vagliato i provvedimenti e li hanno proposti alla Casa Bianca, attendendo che venissero firmati per emanarli.

Questo ritardo si somma ai precedenti quattro mesi che sono intercorsi dallo scadere dei 90 giorni da agosto del 2018, fattore che ha fatto pensare che il presidente Trump stesse prendendo tempo o addirittura cercando di insabbiare il provvedimento. Un ritardo che, col clima Russiagate, non ha fatto altro che alimentare i sospetti di collusione con Mosca, e ha procurato a Trump più di un’accusa, soprattutto da parte dell’ala dura del suo partito, di non voler inimicarsi Putin.

Una lotta interna?

Nonostante queste nuove sanzioni arrivino a pochi giorni dall’approvazione presso il Senato Usa di un provvedimento che punisce quelle compagnie che intendano fornire aiuto alla Gazprom, la compagnia di Stato russa leader nel settore idrocarburi, per la costruzione del gasdotto Nord Stream II (che collegherà Germania e Russia), la misura sembra più volta a garantire a Trump una certa dose di tranquillità interna.

Oltre all’opposizione democratica il presidente Usa deve fare i conti col “fuoco amico” dei falchi del suo partito che vedono la Russia come il nemico principale degli Stati Uniti, mentre l’esecutivo ha sempre dimostrato di avere un atteggiamento più disposto al dialogo col Cremlino. Questo stesso atteggiamento osteggiato fortemente dall’ex capo del dicastero della Difesa – James Mattis – che ha rassegnato le dimissioni anticipate lo scorso dicembre.

Queste ultime sanzioni arrivano in un clima che a prima vista può sembrare teso, con la definitiva fine del Trattato Inf, ma che non manca di evidenziare come i contatti tra Mosca e Washington siano, almeno a prima vista, cordiali. Proprio il giorno prima Trump e Putin hanno avuto una lunga conversazione telefonica in cui i due leader hanno discusso dei rapporti commerciali tra i due Paesi augurandosi di poter riprendere presto gli scambi ad ogni livello e in particolare il presidente Usa ha offerto il suo aiuto a Mosca per spegnere i terribili incendi che stanno devastando la Siberia. Nessun accenno, invece, alle sanzioni come risulta dalla pubblicazione della telefonata da parte della Casa Bianca.

Sullo sfondo restano però le ombre date dal riarmo di entrambi i Paesi proprio grazie alla fine del Trattato Inf, decaduto definitivamente in questi giorni per la stessa scadenza dei termini dopo che gli Stati Uniti hanno, lo scorso febbraio, denunciato ufficialmente l’accordo che reggeva ed equilibrava le forze nucleari in Europa – e in misura minore nel resto del mondo – dal 1987.

Sembra quindi che tra i due Paesi ci sia una “cordiale inimicizia”, forse più dettata – da parte Usa – da congiunture interne o da singole necessità date dai suoi alleati (in questo caso i Paesi dell’Europa Orientale), piuttosto che da una reale volontà di scontro e contrapposizione della Casa Bianca. Non fraintendiamo però. Questo non significa che tra Mosca e Washington regni un rapporto idilliaco nascosto da una maschera fatta di sanzioni e reciproche provocazioni militari: lo scontro c’è ed è causato proprio dal ritorno sulla scena globale della Russia, soprattutto ora che è stata forzatamente spinta tra le braccia – scomode – della Cina grazie all’inerzia dell’Europa, ancora troppo “Atlanticocentrica” nella sua politica e frazionata poi tra le diverse anime che la compongono, quindi facile terreno di conquista per Washington che fa di tutto affinché sia mantenuto questo status quo, mentre dall’altro lato Mosca, che vede sfumare sempre più le sue possibilità di guardare a Occidente, cerca di attirare nella sua orbita quei Paesi europei meno disposti ad accettare i diktat di Washington (ad esempio sul gas) per dividere quello che non ha potuto unire.





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