Lo scenario libico si identifica, per caratteristiche e vicissitudini, come molto simile alla questione siriana. L’unica – sostanziale e fondamentale – differenza risiede nell’approccio alla soluzione delle crisi, la cui natura è chiaramente determinata dagli interpreti del processo di gestione della stessa.La “cura Putin” in Siria ha condotto ad un notevole ridimensionamento della minaccia dello Stato islamico e dei gruppi ribelli nell’area della Mezzaluna sciita, con un governo, quello di Assad, che resiste a sei anni di conflitto, sebbene non sia chiaro quale sarà il destino del processo di pace in Siria. Dall’altro lato del Mediterraneo, in Libia, il rovesciamento del regime di Gheddafi ha condotto ad un indebolimento della leadership nel Paese, con il risultato che il conflitto è tuttora in corso, e la dissidenza a vari livelli tra le fazioni politiche e militari per guidare Tripoli nel post-conflict impedisce di sanare la questione nel medio periodo.Ad oggi l’Unione Europea, con il governo italiano in prima linea, sta conducendo dei negoziati con il Presidente Al-Serraj, supportato dall’Onu, in materia di immigrazione e lotta al terrorismo, sebbene proprio il governo di Tobruk abbia giudicato tali accordi contrari ai diritti umani. L’affermazione di questa leadership è messa in discussione dal generale Khalifa Haftar, che dalla Cirenaica, la regione di Tobruk, nella parte orientale del Paese, si oppone militarmente ai jihadisti e rifiuta accordi con Tripoli per la creazione di un governo conciliatorio per sostenere l’uscita dalla crisi bellica. Haftar, dal canto suo, gode del supporto di Putin e del governo russo, che negli ultimi tempi ha interloquito frequentemente col generale libico. Lo scorso anno Haftar si è recato a Mosca e l’11 gennaio scorso si è recato sulla portaerei russa Admiral Kuznetsov, dove ha avuto un colloquio in teleconferenza con il Ministro della Difesa russo, Sergey Shoigu. Dal canto russo non si è mai negato il sostegno ad Haftar, e alcune fonti, tra cui Financial Times, riportano di una violazione ufficiosa dell’embargo sulla vendita delle armi in Libia, disposto dalle Nazioni Unite. Secondo alcuni report mai confermati, le armi giungerebbero in Libia attraverso l’Algeria, acquirente di armamenti da Mosca.Un punto sul quale la scelta del Cremlino si orienta con convinzione è il ruolo di Haftar nella lotta ai gruppi islamisti. La cacciata di tali fazioni da Benghazi e dintorni rappresenta un elemento rilevante, vista anche la comunanza di intenti con la direttrice politica russa in tal senso. Serraj è supportato da alcuni gruppi islamisti, non particolarmente graditi a Putin, specularmente a ciò che accade in Siria, rievocando anche quel canovaccio ripreso durante le guerre al terrorismo islamista che lo stesso presidente russo ha condotto in Cecenia e Daghestan.Il conflitto tra l’Unione Europea e Putin, dunque, si consuma anche sul terreno libico, con un delicato equilibrio tenuto in piedi dal sostegno a Serraj, facendo comprendere come sarebbe un brutto colpo per Bruxelles qualora la Libia fosse governata da un alleato della Russia. D’altronde lo stesso Capo del Governo di unità nazionale di Tripoli è atteso a Mosca per dei colloqui con i vertici politici russi, con la speranza di rintracciare delle vie per una convergenza di interessi e stabilizzare la situazione. La Libia, con a capo Gheddafi, intratteneva delle ottime relazioni con la Russia, e le riserve petrolifere del Paese potrebbero essere un punto di contatto per trovare un’intesa per la stabilizzazione della Libia.Il ruolo di Trump, in questo scenario, si configura come in controtendenza con la linea di politica estera americana sulla Libia. Un eventuale gradimento da parte dell’amministrazione statunitense nei confronti di Haftar non sarebbe un’ipotesi così remota, anche in virtù del fatto che il governo di Tobruk ha espresso particolare soddisfazione alla notizia della vittoria dello stesso Trump. Come sottolinea su Bloomberg Leonid Bershidsky, il generale libico ha per decenni collaborato con l’intelligence americana per cercare di minare alla stabilità del regime di Gheddafi, sempre però in un’ottica di scetticismo rispetto alla posizione assunta dall’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, indicata come la vera fautrice della caduta del Colonnello libico. La concezione trumpiana si basa sull’idea – spesso condivisa dalla teoria delle relazioni internazionali -, che in alcuni contesti, come lo scenario arabo-mediorientale, l’imposizione di regimi democratici non sia funzionale al contenimento della minaccia terroristica. D’altronde, la storia recente dà ampiamente ragione a questa corrente.In virtù dei colloqui tra Serraj e i vertici di Mosca, tuttavia, la Russia sostiene che tali colloqui si inquadrano in un percorso di ricerca di una soluzione conciliatoria tra le due principali fazioni di potere all’interno del Paese. Certo è che qualora, al banco di prova della Libia, l’asse Trump-Putin dovesse funzionare, sicuramente l’Unione Europea, al centro tra due fuochi, vedrebbe stritolata la propria leadership mediterranea, annichilendo il proprio peso politico.





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