Donald Trump ha tenuto botta. Le elezioni di medio – termine non hanno segnato il tracollo del presidente degli Stati Uniti, che può continuare a sperare in un secondo mandato. Ma come hanno votato i cittadini americani? Chi ha scelto di sostenere la causa presidenziale, preferendo il Gop e quindi coadiuvando l’azione amministrativa di The Donald? Quali tipologie di elettori si sono orientate in favore dei democratici?
Un’analisi dettagliata della stratigrafia elettorale è stata pubblicata dal Pew Research Center. Gli States sono stati dipinti dalla maggior parte degli analisti come spaccati a metà. Questo è un dato emerso con chiarezza sin dalle ore successive alla consultazione. Ma il futuro sembra sorridere alla causa progressista. Vediamo perché.
La divisione si declina attraverso tutta una serie di differenziazioni. Le donne, quasi per il 60% del totale, hanno espresso preferenze per gli asinelli. Una tendenza non confermata dal sesso maschile, che si è sostanzialmente distribuito in modo equo tra l’una e l’altra formazione politica: 51% dei voti al Gop e 47% ai Dem.
La narrativa progressista non fa che sottolineare l’esistenza di una “nuova sinistra”, alimentata dall’attivismo femminile e magari un po’ femminista. Bisognerà vedere se il trend sarà confermato alle presidenziali del 2020. Per ora, i numeri sembrano confermare la veridicità di quest’analisi.
L’istituto citato ha ricordato come gli exit polls abbiano fatto registrare una spaccatura riguardante pure le provenienze. Gli “white men”, anche in questa circostanza, hanno continuato a riporre la loro fiducia nei repubblicani (60% dei voti), mentre le persone di colore hanno, quasi all’unanimità, sbarrato sullo scanner la casella corrispondente al Partito Democratico (90% del totale, 88% degli uomini e 92% delle donne).
Poi ci sono i fattori demografici e quelli educativi. Il 67% della fascia anagrafica comprendente gli elettori tra i diciotto e i ventinove anni ha scelto di votare gli orfani politici di Hillary Clinton. Anche i trentenni e i quarantenni, seppur con un distacco di portata minore, sembrano sempre più convintamente democratici.
Il discorso muta dai quarantacinque anni in poi, cioè da quando gli americani iniziano a preferire l’opzione del Partito Repubblicano. Gli anziani, quelli oltre i sessantacinque anni, pendono dalla parte degli elefantini, ma solo per il 50%.
La partita, tra coloro che hanno frequentato il College, sembra già chiusa: il 59% dei laureati avrebbe votato per Bernie Sanders e soci. Solo il 39% degli americani che hanno studiato in un College è dalla parte di Donald Trump. Tornando alle minoranze, sappiamo che il 69% degli Hispanici, che si sono recati alle urne in maniera statisticamente più netta rispetto alle previsioni, dovrebbe aver votato democratico. La stessa scelta sarebbe stata condivisa dal 77% delle persone di origine asiatica.
Il presidente degli Stati Uniti ha almeno tre problemi, uno è rappresentato dalle donne: quelle militanti cavalcano il presunto maschilismo di The Donald per metterlo al tappeto. L’altro è costituito dai giovani, specie da quelli laureati, che paiono intenzionati a far switchare gli States verso il blu. Il tempo, se non altro, è davvero dalla loro parte. Della terza grande questione, che è quella centrale, parleremo alla fine.
Vale la pena evidenziare prima le rilevazioni relative alle scelte elettorali delle persone che appartengono alle confessioni religiose. Ad aiutarci, ancora una volta, è un prospetto del Pew Research Center: i cattolici si sono divisi a metà (50% Dem, 49% Gop). I protestanti, com’era già accaduto nel 2016, simpatizzano di gran lunga per il conservatorismo (42% Dem, 56% Gop). Buona parte di quest’ultima percentuale è rappresentata dagli elettori evangelici. Le persone di fede ebraica portano avanti la causa democratica per il 79%. I cittadini che fanno parte di altre confessioni religiose, tra cui anche quella musulmana, sono democratici per il 70%.
Il Partito Repubblicano ha un grande problema. Donald Trump, nel caso dovesse riuscire a farsi rieleggere, potrebbe essere l’ultimo presidente in quota Gop. Almeno fino a che i repubblicani non riusciranno a individuare una persona e/o un programma in grado di rappresentare le istanze delle minoranze. A dirlo sono le tendenze elettorali incrociate con i dati demografici. Ecco perché il “miracolo economico”, quello in cui il Tycoon sta effettivamente riuscendo, potrebbe non bastare nel 2020.
Ad avvertire Il Gop della necessità di trovare un modo di convivere politicamente con le minoranze era stato Reince Priebus, ex Capo di gabinetto della Casa Bianca e allora vertice del comitato nazionale del Gop. Poi è arrivato Donald Trump, che è stato eletto, contro ogni pronostico, anche per via delle debolezze della sua avversaria. Il Tycoon potrebbe averne per un altro mandato, poi gli americani potrebbero dare il la a un’epoca democratica. Rinnovarsi sembra l’unica strategia utilizzabile dai conservatori per restare a galla.
Un segno dei tempi per esplicare il meglio possibile di cosa stiamo parlando: il Texas, come dimostrato dal confronto valevole per il Senato tra Ted Cruz e Beto O’Rourke, è divenuto contendibile, ma non andatelo a raccontare a un vecchio iscritto alle liste elettorali del Gop perché non vi crederà.