Giorgia Meloni è cresciuta. La distanza che separa la sezione missina della Garbatella da Washington può sembrare abissale. Ma il leader di Fratelli d’Italia l’ha sanata in una ventina d’anni di militanza politica. Adesso, l’ex ministro della Gioventù del terzo governo Berlusconi, calca i palchi della politica americana ed internazionale.
Non era affatto scontato che la parabola della destra italiana riuscisse ad ottenere una piena legittimazione oltre oceano. Il ridimensionamento dovuto alla scomparsa di Alleanza Nazionale, con l’altalena partitica che ne è conseguita, suggeriva tutto tranne certezze. A Marine Le Pen, per dirne una, una vera e propria operazione “convalida” non è mai riuscita. E il lepenismo, a parte il piano culturale, non ha oltrepassato i confini transalpini. Eppure la Meloni, che è attesa alla prova della ratifica internazionale, sembra essere davvero vicina al traguardo.
Era già successo l’anno scorso: Giorgia Meloni figurava tra i pochi invitati europei alla Conservative political action conference. Un po’ di stupore all’epoca è circolato. La Le Pen – vale la pena sottolinearlo di nuovo – non è mai stata invitata. Poi per l’ex segretario nazionale di Azione Giovani è arrivata l’esplosione elettorale, con l’incremento di circa sei punti percentuali in pochi mesi. Se quello del 2019 è stato un battesimo, il discorso di quest’anno – quello che la Meloni terrà nel corso dell’edizione annuale della convention – assomiglia molto ad una conferma definitiva.
Donald Trump guarda con favore agli esponenti alla Boris Johnson: uomini pragmatici, favorevoli agli accordi bilaterali e mossi da una certa dose di nazionalismo di ritorno. Al trumpismo servono motivazioni forti. La Meloni, in questa chiave, è una trumpiana delle origini. Fratelli d’Italia non è alla ricerca di stretti collateralismi, ma un canale di dialogo con gli ambienti sovranisti statunitensi è stato aperto in tempi non sospetti. Sembrava che il “ponte” tra la destra italiana e quella americana potesse essere costruito da Steve Bannon. Poi l’idea di una “internazionale populista” è scemata. A differenza del “ponte”, che è ancora bello saldo. Non si tratta neppure di essere atlantisti: la destra italiana ha spesso cercato di perseguire una “terza via” e una politica estera indipendente. Ma è indubbio che la Meloni possa giocare in un ruolo da “cerniera conservatrice”, così com’è stata definita sull’edizione odierna di Libero.
Il conservatorismo europeo non è quello statunitense. Dalle “radici cristiane d’Europa” all’eredità culturale lasciata in dote dalla Roma imperiale e repubblicana: uno statunitense, per quanto si sforzi, non può guardare allo stesso passato cui guarda una nazionalista di casa nostra. Almeno non con la stessa prossimità territoriale e dottrinale. Qualche tentativo di congiunzione tra più anime, però, può essere operato. Uno sembrano averlo messo in piedi la Edmund Burke Foundation e Nazione Futura, che hanno organizzato per domani una manifestazione a Roma. La stessa cui prenderanno parte Viktor Orban, Marion Le Pen, Matteo Salvini e appunto Giorgia Meloni. Può essere un quartetto di coristi in grado di disegnare il futuro della dottrina politica conservatrice nel Vecchio Continente.
Gli americani, in questa occasione pubblica, non dovrebbero intervenire. Le attenzioni degli astanti, però, non potranno che essere rivolte pure all’esito delle elezioni presidenziali di novembre: nel caso Donald Trump dovesse perdere, il mondo si ritroverebbe un presidente democratico, un Papa considerato “progressista” ed un’Unione europea sotto botta, ma in fin dei conti sempre uguale a se stessa. E la Brexit resterebbe l’unica ancora cui aggrapparsi per il campo euro-scettico. Ma quello italiano, per la Meloni, è un antipasto.
Stando sempre a quanto riportato dalla fonte sopracitata, il leader di Fratelli d’Italia, prima della Conservatice political action conference, avrà infatti un’altra occasione per dimostrare tutto il suo valore: un viaggio nella capitale degli Stati Uniti “per una serie d’incontri di alto livello con esponenti repubblicani e democratici”.