Forte dei dati sulla crescita dell’economia americana negli anni della sua presidenza, Donald Trump ha deciso di lanciare un segnale all’elettorato per la prossima corsa alla Casa Bianca, nel quale gli elettori americani saranno chiamati a confermare il presidente uscente oppure scegliere il candidato democratico. In un’intervista rilasciata a Class Cnbc e riportata dall’agenzia di stampa Adnkronos, il tycoon non ha reso segreta la sua volontà di ridurre ulteriormente il cuneo fiscale sui cittadini americani, allo scopo di incentivare soprattutto il settore manifatturiero. Non solo abbassamento della pressione fiscale ma anche una forte campagna per la svalutazione del dollaro è in cima agli obiettivi del presidente, necessario per incentivare gli investimenti a debito e rilanciare in questo modo il comparto produttivo degli Stati Uniti.

Le critiche alla Fed

Ai margini della sua intervista, Trump non ha nascosto la propria perplessità riguardo alla scelta della Federal Reserve di aumentare i tassi per il prestito del denaro, che secondo lui avrebbe sfavorito gli investimenti inficiando sul buon esito delle altre manovre finanziarie. Nonostante infatti i dati siano in crescita, con un Pil cresciuto di oltre il 2%, il risultato sarebbe – sempre secondo quanto sostenuto da Trump – potuto essere decisamente migliore, considerando anche le misure protezionistiche degli ultimi due anni ed il rallentamento di comparti produttivi asiatici. E le questioni legate allo sciopero della General Motors ed alla parziale incertezza degli indici azionari (che hanno segnato comunque i loro massimi storici) non devono assolutamente essere considerate delle scusanti.

Il suo auspicio per i prossimi 4 anni di governo è che la Fed scelga di appoggiare le manovre volte all’espansione economica del Paese, anche e soprattutto tramite una accurata gestione del tasso di sconto. In questo modo, aumenterebbe anche la possibilità di estinguere i debiti del paese e dare uno slancio ulteriore al bilancio pubblico degli Stati Uniti. Tutti obbiettivi sui quali, secondo il presidente americano, il popolo non avrebbe nulla da temere, poiché i dati dei suoi 3 anni abbondanti di governo hanno evidenziato quali siano le reali capacità del Paese.

Meno tasse e più occupazione

Il partito repubblicano degli Stati uniti ha una lunga storia di riduzioni della pressione fiscale: basti pensare a Ronald Reagan, sotto il quale l’imposizione fiscale massima passò dal giorno alla notte dal 72% al 27%. Lo stesso ragionamento, sebbene meno drastico, è stato messo in campo dall’esecutivo americano guidato da Trump; con il raggiungimento del più basso indice di disoccupazione degli ultimi cinquant’anni (ed attualmente al 3,6% della forza lavoro, dati Bureau of Labor Statistics).

Con la leggera indecisione del mercato americano nell’ultimo trimestre del 2019, in corrispondenza anche di un rallentamento nel piano di riforme economiche messo in campo dalla Casa Bianca, le volontà di Trump di riprendere le manovre espansive diviene vitale anche alla luce delle prossime presidenziali. Il desiderio del partito repubblicano è infatti quello di giocarsi il testa a testa, come alla scorsa tornata, nelle regioni industriali del Paese – storicamente in mano al partito democratico. Con il blocco centrale fedele all’attuale presidente americano, gli Stati affacciati sul lago Michigan saranno facilmente decisivi anche nella prossima elezione della massima carica americana.

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