La presidenza di Donald Trump è stata contraddistinta, sino ad ora, da uno scarso numero di successi legislativi di rilievo da parte del Presidente, che ora potrebbe però riscattarsi conducendo in porto l’ampia riforma fiscale che rappresentava un caposaldo della sua campagna elettorale.
La Camera dei Rappresentanti ha approvato, con 227 voti favorevoli e 205 contrari, la sua versione del Tax Cuts and Jobs Act, fortemente sostenuta dalla maggioranza dei deputati repubblicani ed avversata con decisione dal Partito Democratico. Ora la palla passa al Senato, che ha già concesso in sede di commissione il semaforo verde alla manovra fiscale e si prepara ad avviare la discussione vera e propria. Il Senato ha sempre rappresentato il terreno più insidioso per Trump, dato che il Partito Repubblicano gode di una risicata maggioranza di 52 contro 48 e più volte, come testimoniato dalla battaglia sulla sanità, ha contribuito a cassare i disegni della Casa Bianca.
Nella giornata di martedì 27 novembre Trump si è recato a Capitol Hill per perorare l’unità del partito sul tema della riforma fiscale, che ha da sempre rappresentato un vero e proprio pallino delle amministrazioni repubblicane. Il contesto storico, per il Grand Old Party, è al tempo stesso favorevole e paradossale: controlla le due Camere e la Presidenza come non accadeva da prima della Grande Depressione ma, al tempo stesso, è lacerato e diviso al suo interno come mai nella sua storia recente dalle dispute tra Trump e l’establishment. La riforma fiscale rappresenta un obiettivo comune che, per una volta, mette Trump e gli alti papaveri del partito dalla stessa parte della barricata, rinsaldando il fronte interno.
La riforma fiscale più ampia dai tempi di Reagan
La posta in palio è sicuramente ambita: la riforma fiscale proposta dall’amministrazione Trump nel mese di aprile e da allora in discussione rappresenterebbe il più ampio cambiamento normativo in materia dai tempi del Tax Reform Act di Ronald Reagan del 1986.
In precedenza avevamo analizzato le luci e le ombre della riforma fiscale made in Trump, che prevede un drastico abbattimento sino al 15% della soglia di imposta delle società e la riqualificazione degli scaglioni di imposizione sui redditi personali e delle famiglie.
Investopedia ha recentemente analizzato nel dettaglio la riforma nella sua versione approvata dai rappresentanti e sottolineato che da un lato essa potrebbe effettivamente stimolare l’attività economica negli Stati Uniti, garantendo un surplus di crescita del 3,7% del PIL nel prossimo decennio, e dall’altro aggravare la già precaria situazione della distribuzione della ricchezza tra i cittadini americani, già estremamente sperequata, in quanto buona parte dei tagli sarebbero indirizzati ai proprietari di quote azionarie e ai possessori di redditi annui superiori ai 500.000 dollari.
Anche McCain con Trump per la riforma fiscale
Nel Grand Old Party, intanto, proseguono le grandi manovre orchestrate da Trump per condurre all’approvazione la riforma, per la quale i repubblicani possono al massimo permettersi due defezioni in Senato, che aprirebbero la strada all’intervento risolutore del vicepresidente Mike Pence in qualità di Presidente, con l’incognita rappresentata dall’elezione suppletiva per il seggio in Alabama del prossimo 12 dicembre.
Un grande passo in avanti è stato incentivato dall’endorsement concesso alla riforma fiscale da John McCain, Senatore dell’Arizona e storico critico del Presidente, che il 30 novembre ha esplicitato il suo appoggio alla manovra. McCain, risultato decisivo col suo voto per impedire l’affossamento dell’Affordable Care Act, supporta ora la riforma proposta da Trump; il leader della maggioranza repubblicana al Senato Mitch McConnell si è dichiarato “ottimista” circa le possibilità di condurre la riforma all’approvazione nelle prossime settimane.
Sulla riforma fiscale l’amministrazione e il Partito Repubblicano si giocano una partita importante: una dimostrazione di unità potrebbe infatti aprire a nuovi spiragli di cooperazione che potrebbero spingere l’incerto asse tra Trump e la sua formazione a capitalizzare un vantaggio notevole in sede legislativa prima che le elezioni di metà mandato del 2018 intervengano per cambiare, potenzialmente, le carte in tavola.