Per molto tempo, il piano di pace di Donald Trump per Israele e Palestina è rimasto completamente oscuro. Ma adesso, arrivano ad arrivare le prime indiscrezioni. Come riporta Haaretz, a rivelare una parte del piano proposto dal presidente degli Stati Uniti è stato il leader palestinese Mahmoud Abbas. Secondo il presidente dell’Autorità palestinese, il “team per la pace” di Trump ha offerto a Ramallah la creazione una confederazione giordano-palestinese.
“Mi è stato chiesto se credo in una federazione con la Giordania”, ha detto Abbas durante una conferenza con il movimento progressista israeliano Peace Now. “Ho risposto sì, voglio una confederazione con la Giordania e Israele, e ho chiesto agli israeliani se accoglierebbero una tale offerta”. La proposta, almeno secondo le informazioni di Abbas, sarebbe stata avanzata allo stesso presidente palestinese durante un incontro con Jared Kushner, genero di Trump e uomo di fiducia del presidente Usa per gli accordi con Israele e Arabia Saudita, e l’inviato in Medio Oriente della Casa Bianca, Jason Greenblatt.
Il presidente palestinese non ha fornito ulteriori dettagli riguardo le implicazioni amministrative di un tale piano. E non ha chiarito neanche quale autonomia sarebbe concessa allo Stato palestinese confederato con quello giordano. Ma è anche vero che, avendo respinto la proposta, sarebbe stato inutile dare informazioni maggiori.
Ed è difficile credere che la sua controproposta possa essere accolta con favore. L’offerta americana, per quanto opinabile, è paradossalmente più verosimile di quella di Abbas. Credere che Israele accetti di far parte di una confederazione con Giordania e Palestina è, almeno per il momento, pura utopia. E non è difficile credere che Abbas abbia rilanciato con quest’idea proprio per mostrare le lacune del piano di Washington e che abbia alzato il tiro per continuare a negoziare.
Abbas non è un uomo di guerra e la sua leadership è molto debole. Difficile credere che voglia realmente ottenere quanto proposto. Ma è comunque un segnale che esiste un piano e che esiste un’idea dei palestinesi, pur se difficilmente realizzabile.
La questione resta spinosa. L’offerta di Washington implica l’esistenza di una volontà politica unitaria da parte della leadership palestinese che, in questo momento, stenta a decollare. E questo è anche il frutto di una totale divergenza fra Ramallah e Gaza. Hamas, che controlla l’enclave palestinese della Striscia, considera Abbas una sorta di collaboratore di Israele. E la Striscia di Gaza, dove risuonano costantemente i tamburi di guerra, non riconoscerà mai l’autorità di Abbas a meno di stravolgimenti politici o militari.
Resta però il dato incontrovertibile che, per avere un accordo di pace con i palestinesi, occorre anche il placet di Gaza e quindi di Hamas. Lo sanno tutti, anche alla Casa Bianca. La scorsa settimana, l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, David Friedman, ha detto ai membri del Congresso ebraico americano che “non c’è alcuna possibilità di avere pace con i palestinesi” senza la pace anche con il milione e mezzo di abitanti di Gaza.
Israele ha ingaggiato con Hamas un’escalation militare che può deflagrare da un momento all’altro. E mentre le forze israeliane si preparano a un’eventuale conflitto armato su larga scala, dopo i raid degli ultimi mesi e le violenze al confine, Trump ha cancellato gli aiuti all’Urwa, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati.
Questa mossa, condannata dalle Nazioni Unite per le enormi implicazioni sulla popolazione della Striscia, è stato un messaggio molto netto. La Casa Bianca considera Gaza (e quindi Hamas) un problema per il suo piano in Medio Oriente. E molti, a Ramallah, temono che l’obiettivo di Trump sia quello di separare i destini della Striscia da quelli della Cisgiordania, come ha ricordato il premier palestinese Rami Hamdallah ad Huffington Post.