150 morti sarebbero stati una conseguenza “sproporzionata” rispetto a un drone abbattuto. “Gli Stati Uniti non vogliono la guerra con l’Iran”. E infine, come rivelato dal Wall Street Journal, quella confidenza rivolta a uno dei più stretti collaboratori riguardo ai vertici del consiglio per la Sicurezza nazionale: “Questa gente vuole spingerci in guerra, è disgustoso”. Basterebbero queste frasi per far ricredere il mondo dei benpensanti su Donald Trump, che da subito è stato etichettato come un presidente che avrebbe portato il mondo sull’orlo della guerra. Per adesso, invece, tutto sembra dire il contrario. Sia chiaro: gli Stati Uniti non sono Trump e lo Stato profondo, Cia, Pentagono e grandi apparati industriali sono da sempre attori fondamentali sul palcoscenico internazionale. Ma intanto dalla Casa Bianca non è arrivato alcun ordine di attacco nei confronti dell’Iran. E per questo motivo, il mondo non può che ringraziare il leader repubblicano. A prescindere dall’idea che si possa avere sui metodi, gli scopi e l’uomo Trump.
Per ora, quello che sta uscendo fuori da questa escalation nel Golfo Persico è che Trump non vuole un conflitto. I suoi sostenitori lo considerano come il frutto del suo libro: “The Art of the Deal”. Nel testo, il presidente Usa, a quel tempo soltanto un affarista, parlava di come negoziare con il rivale a volte anche alzando terribilmente la posta in gioco o minacciando di abbandonare la trattativa. Altri, i suoi detrattori, considerano invece questa strategia del tutto errata, poiché dimostrerebbe una pericolosa ambiguità che gli Stati Uniti non possono permettersi, oltre che un’eccessiva personalizzazione della politica estera americana. La verità è probabilmente è nel mezzo. Ma quello che è altrettanto vero è che, dopo anni di mandato presidenziale, Trump non ha portato il mondo nell’abisso della guerra: almeno fino a questo momento.
Forse è proprio questa semplicità (e rudezza) del metodo Trump a lasciare interdetti molti analisti. Tuttavia è anche fin troppo facile capire che i suoi critici più feroci dovranno convenire su un punto. Mentre il suo predecessore che ha vinto il premio Nobel per la Pace (Barack Obama) ha scatenato la rivolte in Medio Oriente e Nord Africa, devastato interi Paesi, condotto a rivoluzioni colorate che hanno insanguinato intere regioni e lasciato il mondo in una guerra perenne – in questo coadiuvato dalla rivale di The Donald alle presidenziali, Hillary Clinton -, Trump ha fatto di tutto per trovare un accordo anche facendo avvicinare il mondo a una guerra. E se è vero che l’accordo sul programma nucleare iraniano l’ha voluto Barack Obama, è anche vero che è sotto lo stesso Obama che la guerra in Siria prima e in Yemen poi hanno di fatto avviato l’assedio nei confronti di Teheran. Così come è altrettanto vero che è stata proprio la coppia Obama-Clinton a sì evitare le sanzioni all’Iran, ma a fare di tutto per incendiare il Medio Oriente in cui tutte le guerre rappresentano proxy war fra Iran e alleati degli Stati Uniti.
La realtà è che Trump, in questo consigliato dal Pentagono, il conflitto non vuole scatenarlo. Sa che l’Iran è un avversario molo più potente di quanto si possa credere e soprattutto è perfettamente consapevole che il suo elettorato non vuole una nuova avventura a migliaia di chilometri dal proprio confine. Per la maggior parte dei suoi elettori, l’Iran può anche considerarsi un nemico: ma quello che conta per l’America profonda è altro. E The Donald non vuole mandare i suoi soldati a morire nel Golfo Persico, tanto +è vero che di quei mille uomini inviati nell’area nei giorni scorsi, dopo l’attacco alle petroliere nel Golfo dell’Oman, la maggior parte è composta da addetti ai sistemi missilistici e di deterrenza. E già in questo si comprende quale sia la strategia della Casa Bianca: massima pressione sugli ayatollah ma senza sparare un colpo, senza mettere a rischio vite innocenti, e senza vedere naufragare gli Stati Uniti una guerra che potrebbe trasformarsi in un inferno. C’è chi la chiama ambiguità, chi realismo chi frutto di una strategia precisa del Pentagono preoccupato da un conflitto che potrebbe effettivamente essere devastante. Difficile dirlo: intanto guardiamo ai fatti. Per adesso Trump, dipinto come il male del mondo, è l’unico ai vertici Usa insieme ai militari a voler evitare una guerra. La domanda è se resisterà ai falchi e a quell’élite incensata dai media mainstream che però in guerra l’America l’ha portata.