Donald Trump non lascia adito a dubbi. Sul fronte Huwaei e nel rapporto con la Cina, il presidente degli Stati Uniti chiede continuamente che i partner internazionali non cedano di fronte alle sirene di Pechino. E in un’intervista a Fox News, il capo della Casa Bianca ha lanciato un avvertimento molto netto: “Non vogliamo la loro tecnologia negli Stati Uniti perché ci spiano e non faremo niente nei termini di condivisione di intelligence con qualsiasi Paese che la usi”. Queste le frasi del presidente americano riportate da AdnKronos e che indicano come da parte di Washington non ci sian alcun tipo di marcia indietro: Huawei e la tecnologia cinese sono il nemico numero uno della sua amministrazione.
La questione è nota da tempo. Da parte della Casa Bianca, così come da parte di Cia e Pentagono, il messaggio arrivato costantemente nel resto del mondo è che gli alleati americani avrebbero dovuto scegliere tra Stati Uniti e Cina. Scegliendo Huawei o Zte, i colossi tecnologici cinesi su cui si fonda la strategia di Pechino sul fronte del 5G, gli Stati avrebbe di fatto “scelto” la via d’Oriente rispetto all’Occidente. Una scelta simile a quella che riguarda la Nuova Via della Seta, su cui si è concentrata per molti anni l’attenzione dell’amministrazione americana. Ma se sul fronte delle infrastrutture terrestri e degli scambi commerciali, gli Stati Uniti sanno di non poter evitare in via generale l’esclusione delle aziende cinesi, diverso è il caso della tecnologia: perché è sul 5G e il traffico dati che si gioca una delle più importati (forse la principale) guerra tecnologia del presente e del futuro.
Trump è perfettamente consapevole di quello che dice. La Difesa americana è da tempo sugli scudi e la Nato, ombrello americano sull’Europa, ha avvisato con largo anticipo gli Stati che partecipano al Patto atlantico. Ma questa consapevolezza deve essere ora fatta “comprendere” anche agli Stati: cosa che non appare del tutto scontata. Alcuni, come ad esempio il Regno Unito, dopo alcuni tentennamenti si sono decisi. Boris Johnson, sia per la situazione politica britannica post Brexit sia per la special relationship che lega il suo Paese agli Stati Uniti, non poteva permettersi uno schiaffo così sonoro alle richieste americane in un momento in cui il mondo atlantico si sta riequilibrando in un’ottica più smaccatamente anti cinese e sganciata dall’Unione europea. Diverso il caso però di altri Paesi più resistenti, almeno fino a questo momento, agli avvertimenti arrivati dall’America: in particolare l’Italia.
Il governo italiano è da molti mesi nel mirino della Casa Bianca. Il Movimento 5 Stelle è sempre stato molto affascinato (ed in parte già sedotto) dalla strategia della Cina, mentre il Partito democratico, per il momento, rimane neutrale. La diplomazia americana preme su Palazzo Chigi affinché prenda decisioni definitive su Huawei, ma per l’Italia, come spiegato su Formiche, le cose non sembrano essere così semplici: esistono confini giuridici per cui il governo potrebbe non poter escludere a priori aziende cinesi senza finire in battaglie legali dalle tempistiche infinite e dai risvolti politici poco chiari. L’esecutivo di Giuseppe Conte non vorrebbe intraprendere questa strada, specialmente dopo che con la Cina ha concluso il memorandum sulla Nuova Via della Seta e dopo le immagini trionfali dell’asse con Pechino in chiave coronavirus. Per questo motivo preferisce da un lato far parlare le aziende private, sperando che esse siano meno attente a non irritare i cinesi, e dall’altro costruendo alcune vie legali per evitare di prendere posizioni nette ma giustificando il rifiuto di Huawei sulla base della legge e dell’intelligence. Due i binari percorsi dal governo: il “Perimetro di sicurezza nazionale cibernetica” e il Golden Power, su cui trova in particolari convergenze dall’opposizione e dall’intelligence. Ma servirebbe anche uno scatto politico che per il momento Conte non ha attuato e su cui invece gli Stati Uniti hanno già puntato i piedi. Eventualità che però sembra preoccupare e non poco il premier, visto che in questi giorni Beppe Grillo, fondatore del partito che lo sostiene e molto vicino ai desiderata di Pechino, ha rilanciato l’idea di un digitale italiano che sia sganciato da Washington. Con tutto quello che ne consegue.
Se la linea di Grillo (e quindi del Movimento 5 Stelle) è quella di non assecondare le direttive che giungono da ambienti Nato e americani, è chiaro che l’avvertimento lanciato da Trump a Fox News parla anche italiano. E per Conte il problema diventa serio. Innanzitutto perché intelligence italiana, Difesa e in parte anche Farnesina sono molto attente a queste direttive e molto preoccupate dalle idee perpetrate dall’ala oltranzista dei 5 Stelle. C’è poi un secondo fattore, che è quello politico e del sostegno che Conte può avere a livello internazionale: gli Stati Uniti non sono certo uno sponsor secondario e sia Trump che Biden sulla questione cinese sembrano avere la stessa lunghezza d’onda, anche se con differenti approcci. L’America ha fatto la sua scelta: adesso tocca all’Italia. Il messaggio di Trump potrebbe riecheggiare nel Deep State italiano fino ai più importanti palazzi di Roma.