In meno di sei mesi ben tre processi sono piombati su Donald Trump. Eppure la presa dell’ex presidente sul Gop è più salda che mai . Come mai i repubblicani non hanno trovato ancora un’alternativa al tycoon? Semplicemente perché la base del partito non la vuole. Un recente sondaggio realizzato per conto del New York Times ha messo ben in luce come per il momento Trump rappresenti il candidato più apprezzato dai militanti con il 54% delle preferenze. Molto indietro l’astro nascente conservare Ron De Santis con il 17%.

Ovviamente è molto presto per assegnare le primarie a The Donald, ma mai nella storia un vantaggio del genere è stato colmato. Certo le incognite non mancano. I candidati del campo repubblicano non hanno ancora iniziato la stagione delle primarie, non ci sono stati dibattiti di gruppo e ai caucuses dell’Iowa mancano ancora diversi mesi. Eppure quel sondaggio del Times dice anche molte cose interessanti, che aiutano a capire la presa di Trump sul Gop.

Per avere un’idea di questa strana dinamica bisogna andare a vedere com’è diviso l’elettorato repubblicano. In pratica il Gop è spaccato in tre tronconi. Il primo, la cosiddetta base MAGA (Make America Great Again) è quella super-trumpiana. Il secondo è quello degli indecisi, il terzo è il segmento dei “Never Trump” dei conservatori che non intendono appoggiarlo per nessuno motivo al mondo.

Le tre anime del partito repubblicano

Un viaggio tra queste categorie ci aiuta a capire bene la complessa partita di De Santis per insidiare Trump. Prendiamo il segmento MAGA. Come ha notato Nate Cohn sul Times l’identikit del trumpiano di ferro è semplice: populista, conservatore, generalmente un colletto blu, convinto che la nazione viaggi verso la catastrofe e ovviamente leale fino alla fine con l’ex presidente. Scrive Cohn: “La base non supporta Trump nonostante i suoi difetti, lo sostiene proprio perché non vede in lui alcun difetto”.

E infatti in ogni sondaggio condotto in questo particolare segmento, quasi tutti hanno affermato che il presidente non ha commesso alcun abuso federale. Solo un timido 2% ha detto che Trump magari ha “fatto qualcosa di sbagliato” sulla vicenda dei documenti classificati trovati nella sua residenza di Mar-a-Lago. Ma quanto conta questo segmento? Secondo i sondaggi compone il 37% di tutto l’elettorato repubblicano. La stessa percentuale che appoggiò Trump nei primi mesi delle primarie del 2016, la stessa base che lo ha appoggiato sempre, anche nel momento della presidenza con gli indici di gradimento più bassi.

Rispetto agli alti candidati il tycoon può contare su questo 37% come dato di partenza inscalfibile. Da questi numeri è chiaro che la maggioranza del partito non è “con Trump”, la maggior parte dell’elettorato non lo sostiene apertamente e una fetta non intende proprio appoggiarlo. Paradossalmente questi numeri dimostrano pure il contrario, cioè che ogni sfidante dal governatore della Florida in giù, dovrà faticare moltissimo per andare oltre quel 37%.

Infatti il resto dell’elettorato non MAGA è difficile da unificare. Il secondo segmento, infatti, quello degli elettori indecisi è un terreno di caccia per tutti, Trump incluso. Il primo segmento di questo gruppo è composto da quegli elettori che non ammirano particolarmente l’ex presidente, ma rimango aperti alla possibilità di votare per lui alle primarie. Addirittura un sotto-segmento al momento pensa di votare per lui rispetto alle alternative.

Molto meno omogeneo dei MAGA, questa fetta è sicuramente composta da conservatori, ma che oscillano tra The Donald e DeSantis. Sul piano numerico questa fetta rappresenta un altro 37%. E con ogni probabilità saranno i voti che fungeranno da ago della bilancia. Il terzo e ultimo gruppo, quello dei repubblicani che hanno chiuso le porte al magnate newyorkese, rappresenta il 25% di tutta la torta. Stiamo parlando di votanti con un alto reddito, alta istruzione e tendenzialmente conservatori moderati. Elettori che non voterebbero per lui nemmeno all’elezione generale scegliendo alternativi simili a Joe Biden.

La sfida impossibile di DeSantis

De Santis potrebbe quindi puntare al quel 67% e strappare la nomination? In realtà si tratta più di una speculazione statistica che di una realtà concentrata. Indecisi e Never Trump sono segmenti profondamente diversi. Cercare i voti di uno potrebbe allenarsi i voti dell’altro. I sondaggi mostrano proprio due mondi diversi. Prendiamo gli indecisi. L’80% di loro pensa che il Gop dovrebbe comunque supportare Trump, il 61% che l’America è in grave pericolo, il 57% che le leggi sull’immigrazione non devono essere più permissivi. E ancora: il 58% si oppone a nuovi aiuti militari all’Ucraina e spinge per una stretta sui Woke Capitasilm. Il segmento dei contrari a Trump va in direzione completamente opposta: appoggio a Kiev, aperture sull’immigrazione e ovviamente una visione ampiamente negativa di Trump.

In un quadro del genere trovare una chiave per condurre una campagna elettorale efficace è molto difficile. All’inizio dell’anno quando qualche sondaggio dava DeSantis avanti di qualche punto su Trump la formula del governatore della Florida sembrava funzionare: puntare sui successi economici del Sunshine State, sulla gestione pandemia senza eccessive restrizioni e sulla lotta senza quartiere all’ideologa ultraliberal.

Ma la ricetta ha fatto pochissima strada. Al momento può tentare di pescare dal bacino degli indecisi, ma la scelta di impegnarsi su fronti cari ai trumpiani, come il congelamento degli aiuti a Kiev o il martellare sulle guerre culturali, gli sta alienando il 25% degli indecisi che rischia di scivolare verso candidati minori, come l’ex governatore del New Jersey Chris Christie o l’ex ambasciatrice all’Onu Nikki Haley.

Attualmente DeSantis si trova in un guado dove non riesce a imprimere un’identità netta alla sua campagna. Dei quel 17% che si dice pronto a votarlo l’8 arriva dagli indecisi, e il 9 dagli anti-Turmp. Il restante 29% degli indecisi si divide tra altri candidati (12%) e Trump (17%). Questo vuol dire che alla fine il tycoon ha una proiezione del 57% e una salta presa sul partito e sul mondo repubblicano.

DeSantis è quindi in un limbo pericoloso. Se mantiene la sua posizione attuale finirà col perdere voti alla sinistra del Gop, se si mostrerà moderato finirà col perdere 15-20 punti tra gli indecisi che si dicono aperti a un voto per Trump. In ogni caso The Donald dovrà lavorare per mettere al sicuro poco meno di 15 punti, un bottino alla portata. Un bottino che forse nemmeno le inchieste potranno scalfire. Come ha notato FiveThirtyEignt ogni nuovo rinvio a giudizio sposterà sempre meno voti perché il bacino degli indecisi non è infinito. Fermo restando l’imprevidibilità di The Donald e le sue difficoltà nella raccolta e gestione delle donazioni, è difficile ci saranno oscillazioni enormi dovute all’offensiva giudiziaria. L’unica nube che staglia all’orizzonte per Trump e quella di un’eventuale condanna nel 2024. Quella potrebbe alienarli i voti degli indipendenti in un remach con Biden, ma quella è un’altra partita ancora da giocare. La sfida per le elezioni del prossimo anno è ancora lunga.

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