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I droni degli Stati Uniti sono pronti a colpire i terroristi di Al Qaeda e dello Stato islamico in Libia. La notizia è giunta in queste ore dalle colonne del New York Times, che ha rivelato che la Cia è pronta a condurre raid sulla Libia e in tuta la regione nordafricana utilizzando i velivoli presenti nel Nord-Est del Niger.

La base di Dirkou

Una notizia importante, che dimostra l’inversione di tendenza voluta da Donald Trump dopo che la precedente amministrazione di Barack Obama aveva imposto un limite all’uso dei droni dopo le proteste per le vittime civili conseguenti ad alcuni attacchi. Secondo il quotidiano americano, l’intelligence Usa ha utilizzato droni per missioni di sorveglianza pilotandoli da un piccolo aeroporto commerciale a Dirkou, in Niger.

L’aeroporto ha subito una serie di ampliamenti nel corso degli ultimi mesi. E adesso, le immagini satellitari mostrano anche la presenza di una nuova pista di rullaggio, a conferma che le operazioni dei mezzi aerei sono destinate ad aumentare.

Uno funzionario della Difesa statunitense, intervistato a condizione di anonimato dal Nyt, ha confermato che i droni non sono ancora stati impiegati in missioni letali, ma che saranno presto utilizzato soprattutto nel sud della Libia, dove si annida la maggiore resistenza dei gruppi islamisti locali. Un fatto che però non è stato confermato dalle altre fonti interrogate dal giornalista del New York Times

Il portavoce della Cia, Timothy Barrett, si è trincerato dietro uno dei più classici “no comment”. Il portavoce della Difesa Sheryll Klinkel ha invece dichiarato che i militari hanno utilizzato per diversi mesi una base nell’aeroporto di Dirkou ma senza che questa fosse utilizzata per operazioni militari. Un’affermazione che però contrasta con la realtà descritta dal reporter, che ha testimoniato di aver visto mezzi molto simili ai droni Predator decollare a notte fonda dalla base del Niger settentrionale.

Il ministro dell’Interno nigerino, Mohamed Bazoum, ha confermato che si tratta di droni Usa. E anche il sindaco di Dirkou, Boubakar Jerome, ha sostanzialmente confermato l’uso di questi velivoli: “Va sempre bene. Se le persone vedono cose del genere, saranno spaventate”. Di certo non una smentita.

Perché Trump ha cambiato idea sui droni

La notizia è importante sotto due aspetti. Il primo è quello riguardante il rinnovato impiego dei droni da parte della Cia dopo un periodo di stop da parte di Obama. Come spiegato dai media statunitensi, Obama aveva ridotto il ruolo della Cia nelle missioni operative con i droni perché gli strike avevano ucciso molto spesso dei civili suscitando l’ira dei governi locali, generalmente alleati di Washington.

Ma queste operazioni, coperte dal segreto che contraddistingue le manovre dell’intelligence, non avevano mai ricevuto conferma da parte del governo Usa, creando una lunga serie di incidenti diplomatici.

Proprio per evitare questo nodo difficilissimo da sciogliere, la precedente amministrazione ha puntato tutto sul Pentagono, dando alla Difesa, e non ai servizi, il compito di colpire con i droni nelle aree in cui sono coinvolte le forze americane.

La politica sui droni è cambiata non tanto con l’avvento di Trump alla Casa Bianca, quanto con l’arrivo di Mike Pompeo alla guida del Dipartimento di Stato. In qualità di ex direttore della Cia, Pompeo ha avuto per anni le chiavi delle operazioni con i droni da parte dell’agenzia d’intelligence americana. Di conseguenza, non appena succeduto a Rex Tillerson, Pompeo ha iniziato a premere su Trump. A detta del capo della diplomazia statunitense, le operazioni della Cia con i droni sarebbero stati inutilmente limitate a fronte dei rischi legati al terrorismo. E il presidente Usa ha seguito la linea del suo Segretario di Stato.

Trump ha quindi confermato l’alleggerimento dell’uso delle forze speciali in Africa, già previsto dall’amministrazione precedente. Ma ha modificato la possibilità che la Cia usi i droni per la caccia ai terroristi.

Il Niger e la Libia al centro del mondo

Per molto tempo, gli Stati Uniti sono apparsi quasi disinteressati all’Africa occidentale. La stessa Libia è apparsa per lungo tempo un Paese in cui Washington non voleva essere coinvolta eccessivamente. Ma qualcosa, nel corso degli anni, è cambiato. Il Sahel è tornato al centro degli interessi Usa in Africa. E la Libia, soprattutto in questi ultimi mesi, ha riacceso gli interessi statunitensi. E la base operativa prescelta sembra essere il Niger, lì dove sono stati uccisi quattro berretti verdi la cui morte ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla guerra segreta dell’America in Africa.

Il Niger è un Paese ormai centrale. La Francia ha lì uno dei suoi maggiori centri di interessi ed è oggetto dell’operazione Barkhane. L’Europa finanzia il governo per contrastare le insorgenze islamiste. E l’Italia vuole far partire del tutto la sua missione militare. Oltre a questi Paesi, ci sono anche gli Stati Uniti, che hanno già una base aerea ad Agadez, con i droni della Us Air Force. 

In Libia gli Stati Uniti bombardano dall’inizio della guerra. Di recente il comando per le operazioni in Africa ha confermato nuovi raid contro le postazioni terroriste nel deserto libico, nei pressi di Bani Walid. E con gli ultimi eventi di Tripoli, gli occhi di Washington sono di nuovo puntato sul Paese nordafricano. Le mosse di Khalifa Haftar e la (quasi) caduta di Fayez al Sarraj hanno rimesso la Libia al centro del Mediterraneo. E gli Stati Uniti vogliono capire che direzione sta prendendo. L’Italia, che ha ricevuto da Trump la “cabina dj regia” sul futuro di Tripoli, non può certo essere disinteressata a quanto sta avvenendo in Niger.

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