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È finita l’era delle parole di apprezzamento per le organizzazioni internazionali. Si è conclusa un’epoca fatta di identità globale e di obiettivi comuni. Il discorso di Donald Trump all’Assemblea generale delle Nazioni Unite è un messaggio chiaro a tutti: l’interesse nazionale prevale su quello collettivo. E nonostante la risata collettiva dopo l’incipit del presidente Usa nel suo discorso all’Assemblea, la questione sembra essere ormai chiara per tutti.

America First non è solo uno slogan elettorale: è una dottrina di cui Trump si è fatto interprete nella maniera più assoluta, anche a costo di provocare un cedimento di tutta la struttura della comunità internazionale conosciuta fino ad ora. E questa dottrina centralizza, ormai da anni, la politica mondiale, costringendo il mondo a seguirla, nonostante si voglia credere il contrario. 

I toni duri, accusatori, perfettamente in linea con il personaggio, non devono far passare in secondo piano il fatto che il suo messaggio sia comunque entrato all’interno delle Nazioni Unite. E che questo messaggio sia non solo penetrato nelle stanze del Palazzo di Vetro, ma abbia iniziato a orientare tutti i leader presenti in quell’assemblea, che pur respingendo formalmente le tesi del presidente americano, di fatto operano con gli stessi principi della Casa Bianca. Oppure, pur non realizzando i suoi stessi principi, in pratica ne avallano la sua politica non facendo nulla, di concreto, per contrastarlo.

E Trump, in questo momento, entra come coltello nel burro in un mondo del tutto privo non solo di un’idea alternativa, ma anche di un leader in grado di ergersi come contraltare di tutto questo. Antonio Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, parla di mondo multilaterale e connesso, Trump risponde con una frase che è il simbolo non solo della sua politica, ma anche del mondo che sta cambiando: “Rifiutiamo l’ideologia della globalizzazione e abbracciamo la dottrina del patriottismo”.

Una frase che suona strana rispetto ai tipici discorsi dei leader mondiali, ma che dimostra quella verità profonda che agita il mondo e di cui oggi i movimenti accusati di essere populisti si fanno interpreti.

Il discorso di 40 minuti di The Donald non è stato mai interrotto da un applauso. Nessuno ha provato empatia per quanto diceva. I leader del mondo sembravano rimanere impassibili. Ma se nessuno ha applaudito, se non alla fine come gesto di cortesia, è apparso a tutti chiaro che quell’assemblea ammutolita stesse in realtà di fronte a un uomo che sta rappresentando il piccone nei confronti di un sistema internazionale che sta lentamente crollando.

Il suo discorso è il trionfo del sovranismo. Ed è inutile negarlo: questo nuovo fenomeno politico di matrice nazionalista sta prendendo il sopravvento su qualunque istanza di senso contrario, tanto che ogni leader sta lentamente facendo sue le stesse idee proposte in senso lato dalla Casa Bianca.

Lo ha dimostrato Emmanuel Macron, considerato il paladino dell’anti-sovranismo, e che si comporta invece come uno dei campioni dell’interesse francese nel mondo. Ma lo hanno dimostrato anche altri rappresentanti internazionali all’Assemblea generale quando si è tratto di parlare delle proprie strategie: come ha fatto ad esempio Mauricio Macri, che nel suo discorso è tornato a parlare della sovranità sulle isole Falklands o Malvinas.

E in questo complesso gioco di personalismo, leadership, interesse nazionale e contrasto alla globalizzazione, il discorso di Trump può essere anche non apprezzato dal mondo che era seduto ai banchi del Palazzo di Vetro; ma è un sistema di valori che piace a molti e con cui tutti hanno compreso che è importante dialogare. L’applausometro dell’aula di ieri non indica l’isolamento di Trump dal resto del mondo.

Le idee che rappresenta sono ormai il centro di tutti i dibattiti politici in Europa e in Occidente. Respingere l’idea del mondo multiculturale, dei flussi migratori come impossibili da fermare, del modello culturale progressista, sono obiettivi che caratterizzano tutti i movimenti in ascesa in Europa e nel resto del mondo.

Trump può perdere la simpatia dei suoi leader: ma non perderà quella dei movimenti che seguono le sue teorie. E se questi movimenti prendono il sopravvento, i sorrisi gelidi e beffarsi dell’Assemblea generale saranno soltanto una parentesi ironica di fronte a una realtà che la Casa Bianca sta conquistando. E lo dimostra il legame sempre più solido fra il mondo conservatore americano e il sovranismo europei.

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