Donald Trump vuole che i governatori degli Stati riaprano le chiese, che sono state interessate pure negli States dai sigilli del lockdown. Il presidente degli Stati Uniti la chiama fase di transizione: è quella che dovrebbe consentire agli Usa di ripartire, mettendosi alle spalle il virus pandemico o imparando a convivere con il Sars-Cov2 nella maniera più produttiva possibile. Difficile non notare le differenze con la gestione cinese della pandemia: Cina e Stati Uniti d’America, anche dal punto di vista culturale, sembrano destinate ad un confronto lungo e non privo di frizioni. Una “nuova guerra fredda” sembra essere ormai alle porte.

Le elezioni presidenziali americane si terranno a novembre. Si sta discutendo sul “come”, ma non sul “quando”. Non è previsto che l’appuntamento elettorale possa essere spostato per via della possibile diffusione dei contagi. Al limite, come i Democratici sembrano caldeggiare con insistenza, si procederà con l’incremento del voto online. Ma a votare si voterà. Sarà Donald Trump a confrontarsi con la nuova guerra fredda? Oppure sarà Joe Biden? I sondaggi, per ora, danno il candidato degli asinelli in vantaggio. Ma le statistiche sono abituata ad essere smentite. Vedremo cosa accadrà da qui a novembre.

Tra coloro che si recheranno al voto, vale la pena annotare anche i fedeli cristiani, tanto i cattolici quanto i protestanti, con gli evangelici in testa.La mossa del tycoon, quella volta a domandare ai governatori di spalancare le porte delle chiese per poter consentire al popolo di prendere parte al culto, va interpretata anche alla stregua di una necessità: il fronte conservatore, che è composto anche se non soprattutto da persone appartenenti a questa o a quella chiesa, va compattato in vista di novembre. Joe Biden è a sua volta un credente. E questo è un fattore che Trump avrà tenuto a mente in relazione alla strategia elettorale.

Battagliare affinché i cristiani possano ricevere i sacramenti, soddisfacendo così quella “emergenza spirituale” che per un fedele è sempre persistente, è di sicuro un atteggiamento utile a convincere le persone che, in questo frangente pandemico, vorrebbero che i luoghi di culto costituissero un fronte in difesa delle liberalità comportamentali e spirituali. Non si tratta tanto di fare un’eccezione quanto di circoscrivere l’ambito spirituale per quello che è nella visione di un fedele: qualcosa d’irrinunciabile. Anche in contemporanea allo sviluppo di un cigno nero metastorico. Trump, in questo senso, è molto coerente: il Commander in chief non è mai stato troppo favorevole ad una chiusura troppo prolungata. E questo è valso un po’ per tutti i settori.

Poi c’è il confronto con i governatori – come raccontato da Politico – . Nella narrativa trumpiana, i governatori democratici che si rifiutano di restituire il diritto alla vita religiosa fanno parte del paniere degli illiberali. Di coloro, insomma, che non starebbero consentendo agli States di recuperare un po’ di respiro perso in questi mesi interessati dal Covid-19. Anche questa è un’argomentazione che potrebbe fare presa, in specie sul fronte libertario, che negli Stati Uniti è spesso stato piuttosto rilevante. Queste richieste possono essere frutto di un calcolo elettorale oppure no: cambia poco. Quello che conta è il risultato, che sarà constatabile solo per mezzo delle urne novembrine.

Joe Biden, nel frattempo, è impegnato nella ricerca della candidata vicepresidente. Già sappiamo che sarà donna. Ma l’elenco appare lungi dall’essere scremato in maniera definitiva. Per quanto tutte le strade sembrerebbero portare dalle parti di Kamala Harris, nulla, compresa la discesa in campo di Michelle Obama, è escludibile a sei mesi dalle elezioni presidenziali. I cristiano-democratici, che hanno sempre preferito votare per il partito degli Obama, potrebbero comunque recepire positivamente la battaglia condotta da The Donald per le chiese aperte.