In Libia la situazione è tutt’altro che semplice. E a poche settimane dalla Conferenza di Palermo, il dossier-Libia appare ancora estremamente complicato. Soprattutto perché la strategia italiana manca di un alcuni cardini fondamentali: in particolare, del suo ambasciatore a Tripoli. La situazione di Giuseppe Perrone, l’uomo simbolo della diplomazia italiana in Libia, è infatti un vero e proprio rebus.
Il diplomatico italiano era stato definito “persona non gradito” dalle fazioni libiche non appartenenti al blocco di Tripoli e Fayez Al-Serraj. Poi sono arrivate le parole di distensione di Khalifa Haftar prima del vertice palermitano, con un’importante riapertura su Perrone. Ma adesso, nonostante i passi in avanti compiuti dal governo Conte, non sembrano esserci ancora novità decisive sul fronte della diplomazia italiana in Libia. E Perrone resta a Roma, con tutta una serie di domande cui nessuno è ancora in grado di rispondere.
Il problema è che mentre l’Italia continua a domandarsi chi mandare a Tripoli, la Francia non perde tempo e tesse la sua trama. Inarrestabile come sempre, Jean-Yves Le Drian, il potente ministro degli Esteri francese, sta mantenendo i contatti con tutte le forze in campo. A Misurata, nonostante la presenza italiana, inizia a penetrare l’influenza di Emmanuel Macron e di altri attori arabi legati al governo francese. E non va dimenticato che proprio pochi giorni prima della conferenza di Palermo, il ministro degli Esteri francese aveva incontrato i leader della città libica sul golfo della Sirte. Un vero e proprio sgarbo da parte della Francia alla strategia dell’Italia.
Ad avvertire l’Italia dell’arrivo dei francesi, è stato Abderrahmane Sewehii, ex presidente dell’Alto consiglio di Stato di Tripoli e oggi una delle personalità più importanti di Misurata. Intervistato recentemente da La Stampa, Sewehii non solo ha avvertito dei pericoli dell’arrivo dei francesi, ma anche lanciato un avvertimento sul fatto che Perrone dovesse rientrare in Libia il prima possibile.
Già, Perrone. Il problema è che ad oggi nessuno sa con certezza il futuro del diplomatico italiano. E sono in molti, a Roma, a credere che in realtà il suo futuro non sarà in Libia. Con tutte le conseguenze che questo può avere sulle nostre capacità operative nel Paese nordafricano. Perrone è uno degli uomini più esperti di Libia e sicuramente l’unico in grado, attualmente, di gestire un’agenda complessa e approfondita con tutte le fazioni presenti in territorio libico. E non averlo adesso sul campo è un problema estremamente importante.
Come ricorda La Verità, lo ha segnalato anche Pierferdinando Casini, “che ha presentato in Senato un’interrogazione al premier Giuseppe Conte e al ministro Moavero Milanesi per sapere se Perrone ha partecipato alla conferenza di Palermo e quali sono i motivi della sua permanenza a Roma, che risulterebbe in contraddizione con i buoni risultati di cui il governo si è vantato dopo la due giorni in Sicilia”. Una contraddizione che però potrebbe avere motivazioni molto diverse rispetto all’incolumità di Perrone o alla strategia italiana in Libia. E che riguarderebbero, sempre secondo le fonti de La Verità, il rapporto sempre più teso fra Enzo Moavero Milanesi e una parte della maggioranza parlamentare.
“È quasi impossibile, spiega la fonte, che Perrone torni in Libia, soprattutto dopo che il dossier è passato nelle mani di Moavero Milanesi, che ha evitato le intromissioni del ministro dell’ Interno Matteo Salvini, il quale aveva nell’ambasciatore il tramite con Tripoli”. Di qui il sospetto, spiegato da una fonte della Lega, che la partita sia molto più complessa. “Il sospetto nel governo, racconta una fonte della Lega, è che il ministro degli Esteri, con un passato nell’Ue e negli esecutivi guidati da Mario Monti ed Enrico Letta, stia giocando un’ altra partita con la sponda francese: quella per la Commissione europea che nascerà nel novembre 2019, quando il governo Conte potrebbe essere soltanto un ricordo”. E Perrone era un uomo profondamente scomodo ai francesi. Che in Italia hanno ancora molti alleati, non ultima, la Comunità di Sant’Egidio e buona parte del blocco più convintamente “europeista”, che guarda a Macron e alle elezioni europee con estremo interesse.