Le sanzioni occidentali alla Russia, l’abbassamento del prezzo del petrolio e i costi dell’intervento militare in Siria hanno piegato l’economia russa nell’ultimo triennio. Tre fattori che stanno portando la strategia economica russa verso la strada delle privatizzazioni delle principali aziende statali.Il crollo del valore del rublo sul mercato valutario internazionale è stato il primo effetto dovuto alle sanzioni imposte dall’Unione europea fino a quest’anno. La valuta russa ha infatti perso più del 15% del proprio valore sul dollaro, mentre ad oggi 1 euro vale più di 68.000 rubli (prima delle sanzioni non superava quota 50.000). Tale svalutazione ha avuto delle ricadute anche sull’inflazione, aumentata fino al 7.7%, come dichiarato da Elvira Nabiullina, Presidente della Banca Centrale russa. Le sanzioni hanno poi colpito in maniera pesante il settore petrolifero russo, compromettendone le esportazioni. Scriveva il Sole 24 Ore nel settembre 2015: “Le sanzioni colpiscono l’esplorazione e l’estrazione di petrolio là dove è più difficile raggiungerlo: nell’Artico, nelle acque profonde, tra le rocce scistose che racchiudono lo shale oil”. Una crisi del settore che nasce in parallelo al crollo del prezzo del greggio a livello mondiale. Come riportato da Milano Finanza lo scorso 24 novembre, sempre il governatore della Banca Centrale russa ha affermato che il Paese è in grado di sostenere prezzi del petrolio ben più bassi di quelli attuali, fino a 25 dollari al barile (ad oggi il prezzo è attestato sui 46 dollari al barile ed è già considerato molto basso), rassicurando che “è uno scenario improbabile, ma non catastrofico, anche se potrebbe portare ad un indebolimento del rublo”. Deprezzamento che, come si è potuto osservare in precedenza, porta quasi inevitabilmente ad un aumento dell’inflazione, con conseguente contrazione dell’economia. A tutto ciò bisogna aggiungere l’aumento della spesa militare russa, impegnata nel difficile contesto siriano. Come riportato da Repubblica nell’aprile 2016 il Cremlino avrebbe aumentato del 7.5% nell’ultimo decennio la propria spesa in armamenti. L’economia russa pare dunque essere soffocata da una morsa esterna e il governo sta cercando di correre ai ripari. Nel gennaio 2016 Vladimir Putin insieme al Ministro dell’Economia e dello Sviluppo russo Aleksej Uljukajev avevano annunciato l’inizio di un programma volto a privatizzare le principali aziende statali. Un vero e proprio cambio di rotta della strategia economica putiniana, che aveva fatto nella lotta al saccheggio economico perpetrato dagli oligarchi un suo punto fermo. Eppure oggi, a causa del volontario embargo posto dal mondo occidentale, la Russia si ritrova costretta a svendere i suoi gioielli proprio ad investitori provenienti dall’Occidente. La prima impresa a cadere nella morsa delle privatizzazioni è stata Alrosa, colosso dei diamanti russi. Lo scorso luglio 2016 il Primo Ministro russo Dmitri Medvedev ha infatti annunciato la privatizzazione del 10.9% della quota pubblica del colosso diamantifero. Un’operazione che, come dichiarato dal Ministro dello Sviluppo russo, è stata coperta per il 60% da aziende provenienti da Europa e Stati Uniti. Guarda caso gli autori delle sanzioni alla Russia. Sul tavolo delle prossime privatizzazioni, poste già nel budget 2017, ci sono ancora la Sberbank, Banca di Stato russa, l’Aeroflat, la compagnia aerea nazionale, la Rosneft, compagnia petrolifera, la Transneft, compagnia che controlla gli oleodotti, la Sovcomflot, compagnia marittima e la Rostelecom, azienda telefonica. In un documento del maggio 2016 pubblicato da Intesa San Paolo in collaborazione con il Sole 24 Ore, si legge un paragrafo dedicato alle “maxi-privatizzazioni in Russia”, in cui si descrive il possibile ruolo che avrà Banca Intesa Russia nel nuovo programma economico del Cremlino.anca Intesa Russia è l’istituto di credito leader per il sostegno finanziario delle imprese russe e, come si evince dal documento, conta di recitare un ruolo da protagonista nell’acquisizione delle quote delle società pubbliche russe (considerato che la Rivista Forbes l’ha inserita nella top 5 delle banche più sicure, solide e affidabili della Federazione russa). Nello stesso documento si può leggere poi che “a richiedere la partecipazione alle privatizzazioni delle imprese stataili russe sono state due banche americane e cinque europee: J.P. Morgan, Citigroup Global Markets, Barclays Capital, Deutsche Bank, Raiffeisen Investment, Credit Suisse, UBS e Unicredit”. Insomma le solite note. Vladimir Putin ha cercato di rassicurare il popolo russo dicendo che la strategia dello sviluppo economico rimarrà comunque nelle mani dello Stato russo. Lo scorso 14 novembre è stato però arrestato il Ministro dell’Economia Aleksej Uljukajev colpevole di aver tentato di acquisire illegalmente quote di un’altra azienda pubblica petrolifera, la Bashneft.Pare dunque che anche gli stessi membri del Governo remino contro la volontà di Putin di mantenere una certa sovranità economica del paese. Un evento che dovrebbe far inoltre comprendere come questa non troppo casuale congiuntura economica stia aprendo la strada al saccheggio da parte di compagnie occidentali e ad una non più improbabile crisi del Governo russo.
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