L’accordo sul nucleare iraniano continua a tenere banco. È lì che passa buona parte del destino del Medio Oriente e probabilmente del mondo. Per l’Iran un accordo epocale. Per Germania, Francia e Regno Unito un trattato che va mantenuto. Per gli Stati Uniti di Donald Trump e Israele, un accordo da rivedere. Se non da stracciare.
Ma le pressioni affinché l’accordo regga ci sono. E Trump, nonostante la sua retorica fatta di tweet e minacce, è consapevole che mantenere uno scheletro di accordo con Teheran sia molto importante. La guerra, specie in Medio Oriente, non è mai un’ipotesi remota. E Israele e Iran sono da tempo sull’orlo del precipizio, con il rischio di coinvolgere tutto un mondo di potenze regionale e internazionali. Per questo, molti stanno correndo ai ripari.
I negoziati sotto banco per mantenere vivo l’accordo
Emmanuel Macron , Angela Merkel e Mohammed Yavad Zarif saranno presenti questa settimana, per motivi diversi, negli Stati Uniti. Il presidente francese, il cancelliere tedesco e il ministro degli esteri iraniano sono fra i più fermi sostenitori del salvataggio dell’accordo nucleare del 2015.
Il presidente francese è arrivato ieri a Washington e ha pubblicato su Facebook il suo arrivo alla Casa Bianca. Il cancelliere tedesco arriva venerdì per un vertice con Trump che si preannuncia particolarmente teso. Il ministro degli esteri iraniano trascorrerà la settimana a New York. I due leader europei e il potente capo della diplomazia iraniana stanno lavorando per cercare di convincere l’amministrazione Usa a fare qualche passo in avanti verso un ripensamento dell’ostilità verso l’Iran.
Secondo fonti dell’intelligence israeliana, questa settimana sono stati avviati contatti fra le rispettive cancellerie per cercare di arrivare a una soluzione. Accordi che, a detta delle fonti, includerebbero anche la Siria. I documenti preparatori per arrivare a un accordo-quadro fra le potenze occidentali coinvolte sono stati elaborati da un team di diplomatici statunitensi, francesi, tedeschi e britannici. L’obiettivo è quello di arrivare a una politica condivisa sull’Iran che preveda: il divieto di sviluppare armi nucleare dopo il 2025; intensificazione delle indagini degli ispettori dell’Aiea; stop al programma missilistico iraniano.
L’intervista di Zarif
Nella sua intervista alla Cbs, il ministro degli Esteri Zarif ha espresso alcuni concetti molto chiari sull’accordo per il nucleare e sulla Siria. E ha dimostrato, ancora una volta, di essere uno dei diplomatici più interessanti del panorama internazionale.
Nell’intervista, alla durezza di alcuni messaggi, Zarif ha anche fatto alcune piccole ma significative aperture. Tra le sue parole traspare non solo la volontà difendere l’accordo, ma anche la volontà di lanciare messaggi mirati a chi di dovere. Il ministro iraniano ha chiesto agli Stati Uniti di rimuovere le sanzioni economiche, riaffermando quanto già detto altre volte: in caso di ritiro dall’accordo degli Usa, l’Iran riprenderà il programma nucleare.
Questo perché “il resto del mondo non può chiederci implementare unilateralmente un accordo che è già stato rotto”. Ha poi fatto capire ai partner europei dell’accordo, in particolare Francia e Germania, che i loro tentativi di raggiungere un accordo non sono stati apprezzati da Teheran
Per quanto riguarda la Siria, Zarif ha espresso concetti chiari e molto utili per capire quali potrebbero essere le vie di un possibile accordo. Innanzitutto, ha voluto ribadire che l’Iran non cerca la guerra con Israele. Ha anzi detto che l’Iran è lì per combattere il terrorismo e rimarrà finché questo non sarà sconfitto. Stesso ragionamento lo ha fatto con riferimento a Hezbollah, che per Israele rappresenta un problema fondamentale.
In un’intervista ad Al-Monitor, alla domanda sulla possibilità che Hezbollah si ritiri dalla Siria non appena finiscano le minacce terroriste, Zarif ha risposto in maniera assolutamente affermativa. ” Non abbiamo bisogno di farlo. Se gli Hezbollah non sono necessari in Siria, non hanno motivo di rimanere. Hanno la propria casa da difendere, e hanno la loro casa dove stare, e hanno la loro casa da costruire”.
L’idea, quindi, è che ci sia la base per trattare. Una volta assicurata la permanenza di Bashar al Assad e il mantenimento dell’unità territoriale siriana, l’Iran è disposto a fare delle concessioni. Ma dall’altra parte, deve esserci la stessa propensione. John Bolton e Mike Pompeo non sembrano essere le persone più aperte al dialogo, almeno al momento. E molto dipenderà anche dalla pressioni di Israele. Benjamin Netanyahu ha recentemente definito Zarif come “il ministro degli Esteri di una nazione che invia droni armati contro Israele e missili balistici contro l’Arabia Saudita”.