Il partito di destra conservatrice ed identitaria Fidesz ed il suo carismatico leader, Viktor Orban, hanno rivoluzionato la politica interna ed estera dell’Ungheria, un paese apparentemente condannato all’irrilevanza geopolitica perché geograficamente piccolo, senza sbocchi sul mare, demograficamente ridotto, e con scarse risorse naturali.
L’agenda di Fidesz, che è scritta con uno sguardo al lungo termine, è stata pensata per aggirare e superare ognuno dei limiti suscritti, in maniera tale da trasformare Budapest da un attore periferico e dipendente dai giochi di potere delle potenze maggiori e confinanti ad un attore centrale nelle dinamiche europee e portatore di interessi in terre considerate irredente, dalla Romania all’Ucraina nord-occidentale.
Questo ambizioso progetto di rinascita neo-imperiale post-austroungarica mescola elementi del nazionalismo magiaro e del turanismo e ha spinto Budapest a oltrepassare i confini fisici e stretti del Vecchio Continente, sbarcando in Turchia, in Asia centrale e in Giappone. L’Europa resta, tuttavia, il focus principale della politica estera ungherese e in alcuni territori,come la Transilvania, il processo di magiarizzazione, che prosegue a ritmi serrati, è fonte crescente di tensioni sociali e diplomatiche con Bucarest.
Perché Budapest vuole la Transilvania
Gli ungheresi sono la minoranza etnica più numerosa della Romania, insieme ai rom, e sono principalmente radicati in Transilvania, con oltre 1 milione e 200mila presenze. Tale corposità è legata al fatto che la Transilvania fu terra austro-ungarica sino alla fine della prima guerra mondiale, quando fu poi ceduta al regno di Romania sulla base del trattato del Trianon.
L’Ungheria non ha mai smesso di considerare la Transilvania come una propria appendice e il forte senso di attaccamento alla nazione magiara da parte degli abitanti è stato essenziale nel mantenere in vita forme di comunitarismo ed aspirazioni autonomiste, che neanche la politica di romanianizzazione di Nicolae Ceaușescu è riuscita a sopprimere.
Fu proprio durante l’epoca comunista che ritornò in auge il nazionalismo magiaro nelle terre transilvane, complicando le relazioni fra due paesi che per ragioni geopolitiche (il far parte del mondo sovietico) avrebbero dovuto, in teoria, collaborare e mettere da parte gli egoismi nazionali nel nome dell’interesse supremo internazionalista.
Ceaușescu, onde evitare di creare grattacapi al Cremlino, accettò suo malgrado di concedere autonomia a due regioni amministrative dalla forte impronta ungherese negli anni ’50, salvo poi riformare l’assetto territoriale del paese verso la fine della decade successiva; una riforma ancora oggi perdurante.
Nel marzo del 1990, a soli tre mesi dalla rivoluzione che aveva posto fine al regime comunista, il cuore della Transilvania, Târgu Mureș, fu scossa da una serie di violenze interetniche. Il bilancio delle vittime fu pesante: 5 morti, quasi 300 feriti, decine di siti culturali, negozi e altri punti di ritrovo ungheresi vandalizzati, assaltati e distrutti, fra cui chiese e sedi del partito Unione Democratica degli Ungheresi.
Da allora, le relazioni fra ungheresi e rumeni in Transilvania continuano ad essere caratterizzate dalla diffidenza e dall’ostilità reciproche, con i primi che vengono accusati periodicamente di essere quinte colonne di Budapest segretamente miranti a far secedere la regione. Questo clima a base di segregazione e discriminazione non ha potuto che facilitare l’agenda irredentista di Fidesz.
Cosa sta accadendo
Vivere in Transilvania oggi è come vivere a Budapest: segnaletica stradale in ungherese, larga diffusione di media virtuali e cartacei in ungherese, corsi in lingua magiara dalle scuole elementari fino alle università, bandiere ungheresi sventolanti in diversi edifici. Fidesz ha speso circa 150 milioni di euro l’anno per magiarizzare la regione dal 2016 ad oggi, una cifra enorme.
La strategia di Orban sta funzionando: nell’arco di pochi anni, piccole realtà dell’informazione, come Erdélyi Médiatér Egyesület e Főtér, dipendenti dai sussidi ungheresi, sono cresciute esponenzialmente, riuscendo a costituire dei piccoli imperi mediatici che toccano televisione, programmi radiofonici e si occupano di diffusione culturale via librerie, a mezzo stampa, e tramite iniziative civili ed accademiche. Dei cinque canali televisivi più seguiti in Transilvania, quattro sono ungheresi.
Ma i media occupano un ruolo marginale nel bilancio dedicato da Fidesz alla magiarizzazione della Transilvania. Infatti, la parte più significativa dei fondi è utilizzata per supportare i bisogni essenziali degli ungheresi, promuovendone la propensione alla natalità e consolidandone l’identità nazionale. Perciò sono finanziati soprattutto asili, scuole, chiese, strutture sportive, siti di interesse culturali, centri di ricerca, associazioni culturali, infrastrutture, progetti agricoli, ed anche università.
La strategia sta avendo un successo tale che in Romania si parla dell’esistenza di un “parallelismo etnico” nella regione, ossia di un “sistema in cui gli ungheresi possono vivere le loro vite come se non fossero in Romania, ma in Ungheria“.
Le chiese locali, sia cattoliche che protestanti, svolgono una funzione primaria agli occhi di Orban: sono il collante che, fino ad oggi, ha evitato che gli ungheresi si assimilassero completamente nella società rumena. Perciò una parte cospicua dei fondi di Budapest viene devoluta alle chiese, che a loro volta li redirezionano in programmi educativi e per sostenere forme di “stato sociale” indirizzate a indigenti e famiglie.
I recenti incidenti
Nei giorni scorsi, Ditrau, una cittadina a maggioranza ungherese della Transilvania, è finita al centro dei riflettori europei per via delle proteste popolari contro l’arrivo di alcuni lavoratori cingalesi. I manifestanti, guidati dalla chiesa locale, hanno palesato la loro totale contrarietà circa la sostituzione della manodopera locale con quella straniera.
Peter Eckstein-Kovacs, ex membro di spicco dell’Unione Democratica degli Ungheresi, ha spiegato che gli incidenti andrebbero letti come un riflesso della magiarizzazione portata avanti da Fidesz, che sarebbe riuscita non soltanto a risvegliare velleità autonomiste in seno la comunità ungherese transilvana ma, soprattutto, a convertire la maggioranza di essa agli ideali del partito, come conservatorismo, illiberalismo, xenofobia verso i non europei, cristianesimo identitario.
Lo scorso giugno, invece, un incidente aveva coinvolto fedeli ungheresi e rumeni all’interno del cimitero militare di Valea Uzului (Harghita), per via dell’erezione di alcune croci ortodosse in un’area ritenuta, tradizionalmente, cattolica. Nei mesi precedenti, la zona per i defunti ungheresi era stata vandalizzata da ignoti. Sul caso erano intervenute le diplomazie dei due paesi, accusandosi reciprocamente di alimentare provocazioni.