Alla fine Donald Trump ha ceduto e confermato l’avvio della transizione verso la futura amministrazione di Joe Biden. Nel frattempo l’ex vicepresidente di Barack Obama non ha perso tempo e tramite il suo team per la transizione ha iniziato ad annunciare le nomine del suo staff che si dovrebbe insediare all’inizio del prossimo anno.
I primi nomi a comparire sono storici collaboratori i Biden, ma tutti hanno dei tratti in comune. Molti hanno fatto parte dello staff dell’amministrazione Obama, alcuni hanno lavorato per Hillary Clinton durante la campagna elettorale del 2016, sono funzionari di lungo corso all’interno della macchina amministrativa e negli anni hanno avuto tendenze interventiste.
Tutte le nomine annunciate finora
Negli ultimi giorni, dopo la conferma di Ron Klain come capo dello staff, è arrivata una nuova tranche di nomine. Tra queste sette danno un’idea relativa di quelle che saranno le mosse di Joe Biden in prospettiva. La prima è quella di Antony Blinken come nuovo segretario di Stato; la seconda quella di Jake Sullivan come consigliere per la sicurezza nazionale; la terza quella di Linda Thomas-Greenfield come ambasciatrice Usa alle Nazioni Unite; la quota quella di Avril Haines come direttrice dell’Intelligence nazionale, mentre la quinta è quella di John Kerry come inviato speciale per il clima; la sesta è quella di Alejandro Mayorkas a Segretario per la Sicurezza interna. A questi si aggiungerà con ogni probabilità Janet Yellen, in passato capo della Fed nominata da Barak Obama.
Il primo passaggio per capire impatto e origine di queste nomine è l’investitura di Thomas-Greenfield perché ci dice molto delle intenzioni di Biden. Donald Trump nel corso della sua amministrazione ha marginalizzato sempre più il ruolo dei funzionari di carriera, preferendo figure meno tecniche e più politiche anche per smarcarsi dai poteri di Washington. L’ex senatore del Delaware sta andando invece in direzione contraria. Thomas-Greenfield ha infatti una trentennale esperienza come funzionaria del Foreign Service. Ha lavorato molto all’interno del dipartimento di Stato diventando anche assistente per gli affari africani durante il mandato di Obama.
Thomas-Greenfield ha però anche un altro compito nella futura amministrazione: è stata posta a capo del team per la revisione del dipartimento, un’operazione voluta da Biden per riallineare tutto il lavoro dell’agenzia in vista delle future mosse in tema di politica estera.
Un falco per il dipartimento di Stato
Un altro rappresentate chiave del nuovo-vecchio corso di Joe Biden è quella di Antony Blinken nel ruolo occupato ora da Mike Pompeo. Nato a New York, 58 anni, Blinken è uno storico funzionario delle amministrazioni democratiche e da vent’anni lavora con Joe Biden. Nei primi anni novanta ha collaborato con lo staff di Bill Clinton per il quale scriveva discorsi in materia di politica estera. Poi è diventato capo dello staff del senatore alla commissione del Senato per le relazioni estere e successivamente consigliere per la sicurezza nazionale per il vicepresidente fino a quando Barack Obama lo promosso a vice consigliere nazionale per la sicurezze e poi vice segretario di Stato.
Da molti analisti Blinken viene presentato come un moderato, ma in realtà nel corso degli anni si è mostrato come un falco interventista, in particolare in Nord Africa e Medio Oriente. Come ha ricordato il New York Times il prossimo ministro degli Esteri americano era stato l’architetto del piano Biden di divisione dell’Iraq in tre distinte entità etniche, piano mai applicato per l’opposizione di Baghdad, mentre nel 2011 era stato un sostenitore della caduta di Hosni Mubarak in Egitto. Non solo. Secondo una ricostruzione del Washington Post assunse posizioni contrastanti con Biden e Obama sull’impegno americano rispettivamente in Libia e Siria. In particolare su quest’ultima Blinken ha denunciato il fallimento delle due amministrazioni che si sono succedute, puntando il dito anche contro la decisione di Donald Trump di ridurre il contingente nel Paese.
Per avere un’idea dei possibili fronti su cui sarà impegnato Blinken si può considerare un suo intervento nel luglio scorso al forum dell’Hudson Institute. Il primo punto riguarda la Cina e l’idea che la competizione debba passare degli sforzi multilaterali, in buona sostanza riallacciando vecchie alleanze. Nello specifico, spiegava Blinken, continuando a rinforzare i legami diplomatici con l’India e potenziando la strategia dell’Indo-Pacifico. Questa strategia verrebbe poi implementata anche in Africa dove da anni Pechino è attiva con investimenti e soft power.
Infine ma non da ultimo, il rinnovo dell’alleanza atlantica con l’Europa. Il futuro segretario di Stato, infatti è un convinto europeista e forte oppositore della Russia. Intervistato dalla Cnn nel luglio scorso Blinken si era infatti scagliato contro la decisione di Donald Trump di ridurre le truppe americane stanziate in Germania: “Questa mossa”, aveva detto, “è sciocca, e strategicamente fallimentare. Indebolisce la Nato, e aiuta Vladimir Putin danneggiando la Germania, il nostro più importante alleato”.
C’è poi anche un altro dato interessante. Blinken è stato il cofondatore di una società di consulenza politica, la WestExec Advisers. Un’azienda per la quale hanno lavorato anche altri volti della nuova amministrazione, come nel caso di Avril Haines che potrebbe diventare la prima donna di più alto rango nella comunità dell’intelligence nazionale. In passato vice consigliere di Obama e vicedirettrice della Cia, Haines ha lavorato con WestExec insieme a Blinken e all’altra fondatrice della società, Michele Flournoy, che potrebbe presto diventare la prima donna a capo del Pentagono, nonostante i mugugni dell’ala progressista del partito democratico che si è anche già lamentata della nomina di Haines, considerata un falco guerrafondaio.
Jake Sullivan dal fallimento con Clinton ai piani con Biden
L’altro grandi pilastro della strategia di Biden è Jake Sullivan. Il 43enne ha un passato da collaboratore di Biden ma anche di Hillary Clinton. Nel tempo ha lavorato sia come consigliere di Biden ai tempi della vicepresidenza, succedendo proprio a Blinken che era passato a fare da consigliere ad Obama, per poi trasferiti al comitato elettorale di Hillary Clinton durante le presidenziali del 2016.
Quando entrerà in carica Sullivan sarà il consigliere più giovane dai temi dell’amministrazione Eisenhower. Originario del Minnesota avrebbe un consenso abbastanza ampio sia tra democratici che repubblicani costruito grazie al ruolo chiave giocato durante i negoziati per l’accordo sul nucleare iraniano siglato nel 2015.
Nel corso della campagna si è occupato prevalentemente dei programmi di politica intera come architetto del piano Buold Back Better, un piano per rilanciare il programma economico di Biden. Ma in passato ha lavorato anche sul fronte internazionale. Il Times ha infatti raccontato che negli ultimi mesi Sullivan ha guidato il progetto di stesura di un dossier del think tank Carnegie Endowment for International Peace su come ridefinire la politica estera americana a partire dai bisogni della classe media.
Verso una nuova politica estera
La coppia Sullivan-Blinken rappresenta le fondamenta della nuova politica estera che Biden intende portare avanti. Entrambi nel tempo si sono scagliati contro la dottrina “America First” di Trump, accusandola di essere solo uno strumento per isolare il Paese. Come spiegavamo qualche mese fa, la nuova amministrazione si prepara a una serie di ribaltoni in tema di relazioni internazionali rispetto a quanto fatto dall’amministrazione uscente.
Per il momento l’idea del nuovo staff sarebbe quella di riabilitare gli Stati Uniti come alleato affidabile sia in Europa che in Asia. Allo stesso tempo la leva per ricucire queste relazioni sarebbe quella di ribaltare una serie di decisioni di Trump, cioè rientrare nelle istituzioni globali e negli accordi internazionali. Ad esempio ripristinando l’accordo sul clima di Parigi, rientrando nell’Organizzazione mondiale della sanità, o ripristinando l’accordo sul nucleare iraniano. Ma anche avviare una linea più dura con la Russia e riportare il tema dei diritti umani al centro dell’agenda.
Un team di “obamiani” uniti a un agenda che rimanda al 2016 potrebbe però non bastare a cambiare il corso degli eventi. L’unico tema in cui Biden può incidere è forse il fronte climatico. La nomina di John Kerry a inviato speciale per il clima è un segno forte, dato che l’ex segretario di Stato siederà nel board del Consiglio di sicurezza nazionale. Con ogni probabilità si tratta anche di un segnale all’ala radicale del partito dato che in campagna elettorale ha lavorato fianco a fianco con Alexandria Ocasio-Cortez per stendere il piano di transizione climatica.
Le frecce all’arco della nuova amministrazione potrebbero però essere solo queste. Il mondo del 2020 non è quello di quattro anni fa, e sarà difficile cancellare il lavoro portato avanti dall’amministrazione di Donald Trump. Ad esempio sarà complesso per i nuovi falchi ripristinare il numero di truppe in Afghanistan. Nelle ultime settimane The Donald ha chiesto al Pentagono di accelerare il ritiro dalla Long War e anche se i colloqui tra il governo di Kabul e i talebani non sono ancora conclusi sarà molto complicato tornare indietro.
Discorso analogo per l’accordo sul nucleare iraniano. In questo 2020, a partire dall’uccisione del generale Qasem Soleimani in gennaio, la pressione su Teheran è stata massima, anche con l’inserimento dei Pasdaran tra le organizzazioni terroristiche. Una mossa che renderà eventuali nuovi colloqui difficilissimi. La Repubblica islamica potrebbe chiedere la cancellazione dalla lista, ma molti al Congresso, compresi i falchi democratici, potrebbero non essere d’accordo. Altri problemi potrebbero arrivare da possibili nuove decisioni rispetto alla guerra che si sta combattendo in Yemen. Trump sarebbe infatti pronto a inserire i ribelli sciiti Houthi, appoggiati proprio dall’Iran, all’interno della lista delle organizzazioni terroristiche. Una mossa che da un lato ingarbuglierebbe ancora di più il dossier iraniano e dall’altro potrebbe costringere gli Usa a eventuali interventi.
Nomine per non turbare il Senato
La strada dunque per il nuovo team rimane insalata. E il primo ostacolo da affrontare sarà la conferma al Senato. Se è vero che per Kerry e Sullivan non servirà il passaggio parlamentare, Tony Blinken e gli altri segretari dovranno affrontare il voto. Al di là dell’esperienza decennale e del lungo rapporto con Joe Biden, la scelta sarebbe ricaduta su di lui sia per questioni ideologiche che di gioco politico. La sua reputazione di funzionario “non-ideologico” è anche il marchio che Biden vuole dare alla sua amministrazione.
Una mossa utile soprattutto nelle prime fasi del processo di conferma della nomina. Secondo diversi media americani Biden non vuole inimicarsi la camera alta del Congresso, fonti vicine al suo entourage hanno detto che il presidente-eletto ha preferito evitare il nome di Susan Rice. L’ex consigliere di Obama, tra i falchi della precedente amministrazione, non era ben vista dal Senato, soprattutto dalla senatrice Susan Collins, anti-trumpiana che Biden spera di coinvolgere in diverse votazioni.
La comunità internazionale resta in attesa
Per il momento gran parte delle nomine segue un copione previsto. Già la scelta di Kamala Harris come vice era un segnale che Biden puntava a trasmettere stabilità. La stampa americana ha addirittura parlato di nomine noiose e prevedibili. Ma anche questo fa parte del messaggio che il neo presidente vuole dare, un messaggio di discontinuità con Trump. Biden, ha scritto il Post, vuole proiettare l’immagine di uno Paese senza scatti politici, stabile.
Una cosa che, almeno in queste prime fasi, è stata apprezzata dalla comunità diplomatica. Un diplomatico straniero sentito da Politico ha spiegato che non ci sono grandi aspettative sull’amministrazione entrante, sia per la polarizzazione della società americana, sia per un Congresso diviso. L’unica cosa che ha detto di apprezzare e il fatto che Biden non sarà imprevedibile come Trump: “Almeno“, ha detto “torneremo al modo in cui erano fatte le cose”. La restaurazione insomma pare essere benvenuta.