Basterebbe dare uno sguardo ai titoli che questa mattina campeggiano sulla prime pagine della stampa più vicina a Erdoğan per rendersi conto di quale sia l’aria che tira in Turchia se si nominano la Germania e il suo cancelliere.”(Questa è, ndr) la democrazia della Merkel”, titola lo Yeni Şafak, con parole che risultano quasi garbate, se le si confrontano con il “La Germania non è un amico, ma un nemico” dello Yeni Akit o con l'”Heil Merkel!” scelto dall’Akşam, la cui prima pagina mostra una cancelliera con baffetto hitleriano e braccio teso nel saluto nazista.Tre esempi su tutti – ma altri se ne potrebbero fare – , che se sommati alla decisione di Ankara di convocare la diplomazia tedesca, ufficializzata questa mattina, sono chiari segnali dell’attrito con Berlino, scatenato questa volta dal “no” al discorso che ieri il presidente Erdoğan avrebbe dovuto tenere in diretta streaming alle migliaia di connazionali scesi a manifestare per le strade di Colonia.

Combo stampa turca Germania
Tre prime pagine della stampa filo-governativa turca attaccano la Germania
Un raduno  contro il fallito golpe dello scorso 15 luglio, sulla scia di quella mobilitazione popolare voluta dall’Akp, che da giorni porta in strada in Turchia il popolo di Erdoğan, per la quale la Germania ha schierato 2.700 poliziotti. Sul palco c’era anche Akif Çağatay Kılıç, il ministro dello Sport turco. Il tribunale ha però negato al presidente la possibilità di rivolgersi alla folla dalla Turchia. Una scelta che ad Ankara non è stata affatto apprezzata.”Ci chiediamo davvero quali siano le ragioni reali per cui le autorità locali e la Corte costituzionale federale hanno deciso di bloccare il discorso del presidente di una nazione che ha sventato un tentato golpe”, ha commentato il portavoce della presidenza, İbrahim Kalın. “Non va bene importare da noi le tensioni della politica interna turca – ha sostenuto invece il ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier -, e intimidire le persone che hanno altre convinzioni politiche”.Un appunto che si inserisce nella scia di critiche all’Occidente da parte della Turchia, che accusa l’Europa e gli Stati Uniti di avere reagito con indifferenza al fallimento del colpo di Stato, per poi invece farsi sentire sulle migliaia di fermi e arresti che si sono susseguiti e che stanno colpendo magistratura, esercito e dipendenti pubblici, ma anche la stampa vicina a Fethullah Gülen, il predicatore (ed ex alleato di Erdoğan) che la popolazione turca considera quasi all’unanimità la mente del golpee che continua a proclamarsi innocente.Non c’è soltanto la manifestazione di Colonia ad alimentare lo scontro tra Erdoğan e la Merkel. Di questi giorni la notizia che ad Ankara vorrebbero che Berlino consegnasse i sostenitori di Gülen che vivono in Germania, dove la minoranza turca conta circa tre milioni di persone. Dagli Stati Uniti Ankaravorrebbe invece l’estradizione del leader stesso di Hizmet, che Washington è pronta a negare, perché la richiesta non è suffragata da prove sufficienti della sua colpevolezza.La “caccia” ai gülenisti si è estesa anche al Corno d’Africa. Il movimento ha scuole e ospedali in 160 Paesi del mondo e agli alleati la Turchia chiede che siano bandite: dalla Nigeria all’Indonesia, dal Kenya alla Somalia. Mogadiscio – che ai turchi deve molto – ha detto di sì e già l’Azerbajian, forte di un’alleanza di ferro con Ankara, ha prima censurato una tv, per poi chiuderla alcuni giorni fa.Armeni e “patto migranti”Un tempo alleati dell’Akp, i gülenisti sono ora nel mirino. Ma le ragioni di attrito tra Ankara e Berlino non si fermano a questa singola questione. Prima che, la notte del 15 luglio, una fazione delle forze armate lasciasse le caserme per tentare di rovesciare il governo, a provocare il braccio di ferro tra le due capitali era la questione del “genocidio armeno”.A inizio giugno il Bundestag ha approvato la risoluzione con cui riconosce come “genocidio” quanto avvenne nel 1915 alla comunità armena che viveva entro i confini dell’impero ottomano. Un tema delicatissimo per la Turchia e una decisione a cui Ankara aveva risposto richiamando il suo ambasciatore a Berlino e promettendo una risposta adeguata alla presa di posizione del parlamento tedesco, che quasi all’unanimità aveva votato a favore.C’è poi il “patto migranti” con l’Unione Europea, in cambio del quale la Turchia (lo ha ribadito ancora ieri) vorrebbe la liberalizzazione dei visti entro ottobre, e se così non fosse si dice pronta a far saltare l’accordo. Una clausola sulla cui necessità le autorità insistono da tempo, mentre a Bruxelles hanno ribadito più di una volta che senza norme più precise sul terrorismo – e su chi e cosa possa essere definito tale – di passi in avanti non ce ne saranno.”Europa e Germania non devono essere ricattate”, ha detto il vice cancelliere Sigmar Gabriel. In Turchia accusano Bruxelles, e Berlino, di essere democratici a fasi alterne. E nel frattempo oltre 18.000 persone sono state fermate e più di 9.000 arrestate dal 15 luglio.