La Total abbandona ufficialmente l’Iran e i suoi investimenti nel South Pars, il ricco di giacimento di gas del Golfo Persico. Ad annunciarlo, il ministro del Petrolio iraniano Bijan Namdar Zanganeh. “Total ha ufficialmente lasciato l’accordo per lo sviluppo della fase 11 di South Pars e da più di due mesi ha annunciato che lascerà il contratto”.

Un annuncio che arriva dopo un tira e molla durato mesi in cui la compagnia francese, uno dei giganti dell’energia mondiale interessati al giacimento iraniano, aveva provato a essere esentato dalle sanzioni degli Stati Uniti contro l’Iran. Ma il tentativo non è andato a buon fine. La Casa Bianca ha da subito messo in chiaro che non avrebbe fatto eccezioni, specialmente in un settore chiave come quello dell’energia.

E la Total ,dopo il progetto di investimenti miliardari per lo sfruttamento del gas di Teheran, batte in ritirata. Già a luglio, il colosso francese aveva detto che non avrebbe proseguito nei lavori. E adesso arriva la certezza, comunicata però dal ministero iraniano, non dai vertici di Total.

Da questo annuncio, è possibile trarre due conclusioni. La prima, è che la guerra fredda fra Iran e Stati Uniti inizia a colpire gli interessi europei. Il motivo dietro cui gli Stati del Vecchio Continente hanno provato di tutto per mantenere vivo l’accordo sul programma nucleare iraniano, diventa adesso palese. I nostri interessi, come europei (ma anche e soprattutto come italiani) saranno inevitabilmente lesi dalle sanzioni decise da Donald Trump con l’uscita dall’accordo del 5+1.

Sono moltissime le aziende europee che stanno decidendo, in queste settimane, di abbandonare gli investimenti in Iran, anche a costo di perdere milioni (o miliardi) di commesse. E anche il made in Italy ne è stato inciso. Washington ha messo queste aziende di fronte a una scelta obbligata: o l’Iran o gli Stati Uniti. Ed è evidente che, per la maggior parte delle imprese, investire in Iran è meno utile di avere legami commerciali con gli Stati Uniti.

La seconda è che da questa decisione è possibile capire il prossimo futuro economico – e quindi politico- dell’Iran. Se gli Stati Uniti hanno avviato, con l’ausilio e il supporto di Israele e Stati del Golfo, una potente campagna di assedio nei confronti dell’economia iraniana, il governo di Hassan Rouhani potrà spostarsi soltanto verso una direzione: l’Oriente. Ed è proprio dall’abbandono di South Pars da parte di Total che si può capire questo andamento.

L’11 agosto, quindi nemmeno due settimane prima di questo annuncio da parte di Zanganeh, la China Petroleum Corporation (Cnpc) aveva rivelato la quota detenuta da Total nella parte 11 del South Pars. Nel luglio del 2017, la National Iranian Oil Company (Nioc) aveva firmato un contratto dal valore di 4,8 miliardi di dollari per lo sfruttamento di South Pars con un consorzio internazionale composto da Total, Cnpc e Petropars. Il consorzio prevedeva queste quote: Total al 50,1%, Cnpc al 30% e Petropars con il 19,9%. L’Iran era già stato chiaro con i francesi a maggio: aveva dato 60 giorni di tempo alla Total per decidere e, in caso di uscita di cinese, avrebbe rimpiazzato la Total con l’azienda di Pechino. E così è stato.

Con l’uscita di scena della Total e l’avvento dei cinesi, la quota della Cnpc nel progetto è già arrivata all’80,1%. Di fatto, ora sono i cinesi a controllare la fase 11 del South Pars. Una notizia che ha dei risvolti politici enormi nei rapporti fra Pechino e Teheran ma che aiuta anche a comprendere il significato delle sanzioni americane che non solo consegnano l’Iran alla Cina (e in parte alla Russia) ma escludono le aziende europee da un mercato in crescita e dalle possibilità di investire in un Paese storicamente legato alle nostre imprese.

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