Con il Primo Ministro britannico Theresa May in vacanza nei lidi italiani si è scatenata una lotta intestina nel partito conservatore del Regno Unito.

“Quando il gatto non c’è i topi ballano”

“Questo è il classico caso di quando il gatto non c’è e i topi ballano”, ha così dichiarato David Jones, Ministro degli Esteri britannico, come riportato da Bloomberg. Ma chi sarebbero questi “topi” metaforicamente appellati da Jones? Negli scorsi giorni sembrava infatti che fosse in atto una “soft revolution” all’interno del partito. Una sorta di cambio di paradigma dall’ “hard brexit” tracciata da Theresa May verso un’uscita più soft. A dichiararlo erano state due personalità del partito.

Gli oppositori dell’hard line

Amber Rudd, Ministro degli Interni, ha lanciato il primo colpo lo scorso giovedì, sostenendo che la Brexit non modificherà l’attuale legislazione circa la libertà di movimento delle persone tra i Paesi Ue e il Regno Unito. A rimarcare i toni ci ha pensato poi Philipp Hammond, Ministro dell’Economia, che alla radio della BBC ha così affermato: “Ci vorrà un po’ di tempo prima di riuscire ad allestire i controlli completi sull’immigrazione”. Nel proseguimento dell’intervista Hammond aveva poi lasciato intendere che un completo accordo sulla nuova regolamentazione sull’ingresso dei cittadini comunitari non sarà raggiunta prima del 2022.

Dichiarazioni che fanno un tremendo frontale con quanto affermato invece proprio dal portavoce di Theresa May: “La libera circolazione dei cittadini Ue nel Regno Unito terminerà nel 2019. Il Governo ha pubblicato una serie di proposte sui diritti delle persone mentre la settimana scorsa il ministro dell’Interno ha detto che ci sarà un sistema di registrazione per gli immigrati che arrivano dopo la data del marzo 2019”. Una vera e proprio guerra interna al partito conservatore sembra essere scattata nel momento in cui il leader è assente. David Jones ha quindi accusato Hammond di prendere vantaggio dell’assenza di Theresa May per rendere ancor più esplicita e pubblica la propria visione.

300 milioni di dollari da pagare per la Brexit

A questa diatriba interna si è aggiunta poi oggi un’ulteriore “frecciata” allo schieramento dell’hard line. Sempre Bloomberg pubblicava un articolo dal titolo “HSBC stabilisce il prezzo della Brexit: 300 milioni di dollari per muovere gli uffici a Parigi”. HSBC, uno dei gruppi bancari più grandi al mondo, fa sapere, proprio nei giorni di maggior conflitto interno al partito, che tra operazioni legali e tassi di ricollocamento per smuovere 1.000 dipendenti verso Parigi dovrà pagare la cospicua cifra di 300 milioni di dollari. Un ammontare di soldi che, secondo le valutazioni di HSBC, avrà delle ripercussioni su tutto il settore industriale britannico.

Le simpatie di Hammond per il mondo finanziario

L’accusa è, sottilmente, rivolta a chi ha voluto l’interruzione dell’accesso al mercato unico europeo. Ovvero il fronte degli hard line. Non a caso il Sunday Times riportava l’inverno scorso che proprio Philipp Hammond aveva provato a rassicurare l’industria finanziaria inglese circa il pieno accesso al Mercato europeo comune. La simpatia che intercorre tra Hammond e il mondo finanziario è però ancora più antica considerata l’opinione che il Ministro della May ebbe a dichiarare circa i responsabili della crisi del 2008.

Secondo Hammond infatti le banche “non sono state le uniche responsabili della crisi”, anzi “loro devono prestare a qualcuno” e quel qualcuno è “adulto e consenziente”. Due episodi che, insieme alle recenti dichiarazioni, fanno venire più di un sospetto sulle priorità di Hammond. Rispettare il mandato elettorale e le direttive della linea del suo partito, oppure rassicurare il mondo finanziario britannico?

Continua la battaglia mediatica contro la Brexit

In molti comunque stanno già cavalcando l’onda della crisi di partito per delegittimare ancora il Referendum dello scorso anno. Su affaritaliani.it usciva un articolo sui “Dieci motivi per cui la Brexit potrebbe fallire”, anche il Sole24Ore usciva con “Le ragioni democratiche per fermare il Brexit”. Come già era stato scritto su questo portale il Referendum del giugno 2016 non ha messo la parola fine al Brexit, ma semmai ha decretato l’inizio di una lenta battaglia politica ed economica tra diversi centri di potere. 

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.