“Non abbiamo paura e non ci facciamo intimorire”. Queste la frase di Theresa May il mattino seguente all’attentato subito a Londra, dichiarata davanti ai deputati riuniti a Westminister. “Lo dico qui”, ha aggiunto, “nel più antico Parlamento del mondo perché sappiamo che la democrazia e i valori che rappresenta prevarranno sempre”.Quando Theresa May ha preso la guida del governo britannico succedendo a David Cameron, probabilmente, non s’aspettava che il suo ruolo nella storia contemporanea d’occidente sarebbe stato così importante. L’Europa stessa, probabilmente, non s’aspettava che l’incarico dato alla May assumesse un valore determinante.La Brexit, certo, il nuovo corso del conservatorismo protezionista all’interno di una chiave di lettura del tutto inglese, ma l’attacco alla sede del parlamento, uno dei simboli della democrazia occidentale, quello, per quanto prevedibile, resta incredibilmente doloroso ed in fin dei conti, rimane un atto inaspettato, che pone la May al centro di un’altra, incredibile e centrale sfida per l’Europa tutta. Una leader di ferro, a differenza di quella definizione, “Theresa Maybe“, che le copertine utilizzarono per evidenziarne il carattere incerto, titubante ed ondivago, ai tempi del dibattito in patria sull’alternativa tra una via soft ed una via hard alla Brexit. Theresa May è invece, oggi, il volto ferreo dell’Europa che cerca disperatamente una via per rialzarsi e dal punto di vista della sovranità nazionale e dal punto di vista del proprio quadro identitario e difensivo contro il terrorismo islamico.Non una populista, ma una novella Margaret Tatcher, ancorata al conservatorismo militante del suo seggio di Maidenhead, nel Berkshire. Quando venne nominata ministro degli Interni nel governo di coalizione del 2010, quello formato da conservatori e liberal-democratici, molti restarono sorpresi. Theresa May, del resto, non era parte integrante di quel gruppo denominato “Notting Hill“, la cabina di regia del partito nel 2005, dopo la terza sconfitta elettorale consecutiva dei Tory, la fazione partitica che trovò in David Cameron e George Osborne le risposte alla crisi elettorale dei conservatori. Fuori dal giro, dunque, ma ministro degli Interni più longevo d’Inghilterra degli ultimi 50 anni.” Un Regno Unito sicuro, prospero, tollerante, un magnete per i talenti internazionali e una casa per innovatori e pionieri”, disse, ai tempi dell’annuncio sull’uscita completa dal mercato unico europeo, utilizzando quella parola, “nazione”, spettro per tutti i radical chic che possano essere definiti tali. La visione del mondo di Theresa May, in definitiva, finisce così per essere imprevista, ma ispiratrice di consensi ed opinioni. La tematica della “global UK”, cioè di un Regno Unito aperto al mercato globale, ma fedele anzitutto alle istanze economiche interne, è di stampo liberista sì, quindi non totalmente di rottura, ma ha messo comunque l’Ue dinanzi al bivio dottrinale e geopolitico che potrebbe caratterizzare il dibattito politico da qui ai prossimi anni: quale futuro per gli stati nazionali? Theresa May, per quanto proveniente dal fronte del remain, ha assecondato lo spirito della scelta del suo popolo, richiamando gli inglesi ad essere una comunità di destino, invalicabile e timorata solo da Dio. Lo stesso appello che si sente riecheggiare dai megafoni londinesi a poche ore dall’attentato. Theresa May, un leader inaspettato per tutti, per l’Europa, per il Regno Unito e forse anche un po’ per sé stessa. Non dormiva la notte per la Brexit, adesso è impegnata a tenere svegli i suoi concittadini per il rischio di ulteriori attentati.
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