La Terra è in fiamme? L’ultimo report climatico dell’Ipcc piomba sul mondo che fa ancora i conti col Covid-19 e mostra la gravità dell’emergenza ambientale del mondo contemporaneo. La pandemia e la crisi ecologica sono due grandi acceleratori di tensioni nel sistema economico e politico internazionale sedimentate da tempo in una fase in cui la globalizzazione mostra segni di crisi e affanno. Ma l’intero primo quinto del XXI secolo è stato caratterizzato, per le società più avanzate, da una serie di crisi sistemiche che hanno assunto vere e proprie connotazioni emergenziali. Arrivando a diventare veri e propri ordinatori di nuovi modi di vivere, di nuovi linguaggi e di nuove priorità politiche mano a mano, plasmando gradualmente una nuova normalità, facendo mano a mano venire meno i miti positivisti e raggianti della prima fase dell’era globale.
Jihad islamica e tempeste finanziarie
L’emergenza terroristica globale esplosa dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle di New York e al Pentagono ha raso al suolo il senso di invulnerabilità dell’Occidente e portato l’insicurezza e la retorica bellico-securitaria all’interno delle nostre società. La sequela di attentati accumulatisi nel quindicennio successivo dentro e fuori il mondo occidentale ha posto società ordinate dall’economicismo e educate gradualmente dalla cultura libertaria e individualista dell’era neoliberista di fronte alla sfide del jihadismo, alla perversa snaturazione di una religione ricca di storia come l’Islam. Prendendo più volte in contropiede governi, apparati e opinione pubbliche non solo negli Usa ma anche in Francia, Regno Unito, Belgio, Germania e altri Paesi.
A partire dal 2007-2008 e sostanzialmente per tutto il decennio successivo le economie più avanzate hanno convissuto con la più grave crisi finanziaria dai tempi della Grande Depressione del 1929. Sono venute meno le promesse di arricchimento e ascesa sociale della società di mercato; l’Occidente della disoccupazione crescente e dell’insicurezza non ha potuto come un tempo narrarsi come il migliore dei mondi possibili; la risposta politica delle misure di austerità in Europa ha avvelenato il clima politico del Vecchio Continente; quella americana, prima ancora che risolvere la crisi dell’economia reale, ha con il gioco borsistico e lo stimolo alle nuove tecnologie arricchito i Paperoni di Wall Street. Le disuguaglianze di reddito e opportunità si sono fatte sempre più consolidate.
Il terrorismo con le conseguenti guerre infinte e crisi geopolitiche che ad esso sono stati collegati e la crisi finanziaria divenuta strutturale assieme alla precarizzazione del lavoro e all’incertezza di una generazione giovane cresciuta con aspettative asimmetriche rispetto alle opportunità del sistema sono i due volti del Giano delle crisi che hanno colpito l’Occidente. E come ha ricordato Raffaele Alberto Ventura, giornalista e studioso della crisi delle società contemporanee, il loro combinato disposto è stato devastante. In sostanza ha minato la “certezza che basti disporre di maggiori risorse per rendere più efficiente un sistema viene continuamente contraddetta dai fallimenti industriali e militari delle grandi potenze”.
La pandemia e l’ambiente: due crisi antropiche
Parliamo di vere e proprie crisi di sistema perché legate al difficile sostentamento di un equilibro politico, economico, sociale fondato su precise istituzioni e regole gerarchiche. La pandemia di Covid-19, il “cigno nero” che ha sorpreso il mondo nel 2020, e la crisi ambientale, legata al crescente squilibrio nel rapporto tra il sistema economico dominante, i ritmi biologici del pianeta, le comunità umane, sono al contempo inseribili nello stesso filone pur afferendo a una sfera legata anche al contesto naturale.
Come nota Ventura, “il microscopico SARS-CoV-2 ha paralizzato la mega-macchina capitalistica sospendendo la mobilità, rallentando i consumi e mettendo in crisi la produzione” e facendo sospendere temporaneamente la globalizzazione fisica scoprendo di fronte alle società più progredite il dominio a tutto campo della sfera digitale e tecnologica. Il ritorno delle quarantene, dei confinamenti, del distanziamento sociale ha prodotto sulla psiche collettiva un impatto e una ferita difficilmente sanabile nel breve periodo.
Più liquida, gassosa e difficilmente perimetrabile, la crisi climatica è invece in divenire e pone l’uomo e gli Stati di fronte alla sfida di cambiare le fonti energetiche dominanti e seguire il driver dell’efficienza ponendo, al contempo, al sicuro le collettività umane dalle minacce e i lavoratori dall’espulsione sistemica dal mercato. La crisi dell’ambiente è in sostanza l’ultima conseguenza di lungo periodo dei più deteriori effetti delle grandi utopie della seconda metà del Novecento.
Il socialismo reale ha prodotto un industrialismo irrigidito e un’economia eccessivamente schematica che hanno contribuito a creare alcuni dei disastri ambientali più irreversibili. Basti pensare al lago d’Aral o alle tossiche nubi che appestano le città industriali dell’Est Europa.
Il capitalismo finanziarizzato lasciato privo della guida degli Stati ha prodotto la corsa allo sfruttamento dei beni ambientali, la deregulation nello sfruttamento di numerosi beni pubblici (come hanno spiegato David Harvey e Luciano Gallino) e le catene mondiali del valore del settore agroalimentare hanno aggravato l’impronta ecologica come non mai. Per non parlare del gigantesco problema del land grabbing.
Entrambi, nel nuovo millennio, hanno lasciato questa spiacevole eredità. Quarta e più impalpabile delle grandi crisi che hanno contribuito a creare, nel corso degli anni, una crescente assuefazione alle emergenze che, nelle nostre società, ha lasciato alle sue spalle una forte crisi di identità e rappresentanza e ha contribuito a delegittimare corpi intermedi, autorità, istituzioni e il mondo politico nel suo complesso.
La politica in un mare in tempesta
La politica si è, in diversi Paesi, abituata a governare il corpo sociale in ottica di risposta alle emergenze e a incasellare le analisi di prospettiva della sua azione sulla scia dei tempi e delle percezioni del loro sviluppo. Dal Patriot Act americano ai lockdown, la logica è chiara: usare elasticamente i poteri costituzionali per ovviare a sfide eccezionali. Indipendentemente dai giudizi politici sulle varie dinamiche, è interessante sottolineare come la retorica emergenziale si sia trasmessa nell’approccio anche a questioni meno legate a grandi scenari o massimi sistemi. E così dietro l’emergenza terroristica, finanziaria, pandemica, ambientale si hanno l’emergenza armi negli Usa, l’emergenza immigrazione o quella razzismo in Italia, l’emergenza delle periferie in Francia, l’emergenza educativa in tutti i Paesi occidentali. Concentrarsi sull’emergenziale invita la politica a trascurare l’ordinario e, soprattutto, l’elaborazione ideale, focalizzandosi piuttosto sulla disperata volontà di attrarre quantità crescenti di competenze per far fronte alle sfide del momento, salvo poi spingere esse a un ruolo di supplenza. E così la crisi della politica chiama quella della competenza.
La società dell’era delle crisi infinite è governata da una politica che ha, al massimo, come via di fuga lo stato d’emergenza, ovvero l’attestazione della necessità di imporre una fase extra-ordinaria per governare le ore più buie di una fase caotica al di fuori delle normali leggi del gioco democratico. Usa e Francia hanno importanti norme anti-terrorismo, ad esempio; la Germania recentemente ha proclamato il suo primo stato di emergenza cybernetico ad Anhalt, le nuove Costituzioni dell’era contemporanea (dal Venezuela alla Turchia passando per l’Ungheria) contemplano gli stati d’eccezione, sono presidenzialiste (o centrate su larghi poteri per l’esecutivo) e verticiste. Come se il vero stato d’eccezione non fosse, in fin dei conti, che l’incapacità di governare realmente la globalizzazione e i suoi processi, l’instabilità di un mondo che decenni fa si riteneva possibile unificare con le leggi disciplinate del commercio e del mercato e che oggi si mostra in difficoltà di fronte alla prevenzione del rischio. Risultando poi costretto a rincorrere con foga sempre nuove e pericolose emergenze.