Carlo III riceve la corona mentre il Regno Unito vive una fase di profonda transizione, in cui la morte della madre, la regina Elisabetta II, è apparsa a molti osservatori quale simbolo della vera e propria fine di un’epoca. La monarca, incoronata il 2 giugno 1953, era l’ultima e fondamentale testimone di un mondo in cui Londra era ancora capitale di un impero e l’Europa era il grande palcoscenico della storia. E sotto il suo regno il popolo britannico si è in qualche modo riconosciuto in una continuità che permaneva a fronte di grandi cambiamenti, vere e propri rivoluzioni e ferite che hanno scalfito significativamente la vita del Regno Unito.

Oggi Carlo trova di fronte a sé un regno che subisce anche gli effetti di quanto accaduto negli ultimi anni del regno della defunta madre. E pur non essendo leader politico, il suo ruolo non può né può essere quello di un semplice traghettatore, ma quello di rappresentante di una monarchia in un periodo che può essere già decisivo per le sorti di Londra. Diversi focolai, già avvistati o domati in questo ultimo decennio, potrebbero riaffacciarsi a fronte di una monarchia che appare salda ma allo stesso tempo ancora foriera di dubbi. E sia in Gran Bretagna che in quello che è ancora “l’impero” britannico, Carlo III ha davanti a sé diversi segnali sulle sfide complesse e sistemiche che deve cercare di gestire dalla sua posizione di re.

I focolai del fronte interno

Sul fronte interno, molti osservatori ritengono che nei prossimi anni possa riaffacciarsi, in un arco temporale più o meno breve, la questione nordirlandese. L’accordo con l’Unione europea post-Brexit ha suscitato forti perplessità da parte del fronte unionista, in cui molti temono che questo possa essere il preludio a una forma di isolamento e di eccessivo avvicinamento a Dublino. Il tema è piuttosto sentito dalla corona inglese, al punto che a febbraio è già saltato un incontro tra Carlo III e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per evitare che il vertice fosse sfruttato come strumento di propaganda sul protocollo nordirlandese voluto dal premier Rishi Sunak.

Meno urgente il tema della Scozia, anche se il referendum del 2016 rappresenta comunque un precedente da non sottovalutare quando si parla di dinamiche tra Edimburgo e Londra. Al momento la via dell’indipendenza sembra accantonata per diverse ragioni, dal pragmatismo di Sunak alle dimissioni di Nicola Sturgeon fino a una serie di questioni internazionali che hanno sgonfiato i sogni della secessione. La disaffezione rispetto all’indipendenza dal Regno Unito c’è, lo dimostrano anche i più recenti sondaggi. Tuttavia, in un periodo così turbolento della storia europea e anche della vita del Regno Unito, non è detto che non possano riaccendersi focolai di protesta, nonostante il definitivo “no” della Corta di Londra a un nuovo referendum.

Il nodo dei rapporti con l’Ue

Sul fronte internazionale, Londra deve poi fare i conti con quello che è il grande punto interrogativo di questi anni: il suo definitivo sganciamento dall’Unione europea. Terminato il periodo più bollente della Brexit, ora il Regno deve capire finalmente “cosa fare da grande”. Il trono di Carlo III è contemporaneo alla speranza della Gran Bretagna di tornare “global Britain”, come agognato dall’ex premier Boris Johnson nel suo noto programma strategico in concomitanza con la Brexit. Per fare questo, la politica estera britannica deve incentrarsi inevitabilmente sull’antico e ormai perso impero, trasformato in una rete di partnership dove indubbiamente lo scettro del potere è tranistato da Londra a Washington.

Carlo, monarca che sembra consapevole del ruolo del suo Paese, dovrà quindi rappresentare un regno che vuole di nuovo esporsi sullo scenario internazionale, e farlo riconsiderando un’agenda estera che quantomeno deve recuperare terreno in Oriente e in Africa e che si sta costruendo un ruolo di alfiere atlantico specialmente nella guerra in Ucraina. Il Regno post-Brexit è in effetti soprattutto una potenza che basa i suoi rapporti con l’Europa con accordi bilaterali e con la fedeltà alla Nato. E questo implica non solo un’ntrasigenza sugli avversari strategici del blocco euro-americano, a cominciare dalla Russia, ma anche un ruolo più attivo sul consolidamento delle partnership con l’Occidente e con i Paesi tradizionalmente legati all’Anglosfera. Un piano per certi versi velleitario, viste le difficoltà interne del Paese e visto anche il peso delle organizzazioni internazionali e delle alleanze.

Il ruolo di Carlo III non è certo quello decisivo sul fronte della politica estera né in quella interna. Ma il nuovo re può essere incisivo sia sul piano dell’immagine, fondamentale anche in una società come quella odierna, sia su quello della gestione delle divisioni che può vivere il regno e delle tensioni tra i suoi territori e con il mondo delle nuove e antiche alleanze.

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