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Un equilibrio sempre più fragile, dove in gioco non c’è solo la coesistenza di due comunità, di due Stati e dell’intera regione balcanica.

Dopo le più recenti tensioni tra kosovari serbi e albanesi, con un assalto (pur di dimensioni estremamente limitate) anche a unità di Eulex, è scesa in campo direttamente Belgrado. Il vicepremier e ministro della Difesa serbo, Milos Vucevic, ha detto che il suo governo è pronto a formalizzare la richiesta di invio di un proprio contingente nel nord del Kosovo basandosi sulla risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Richiesta che potrebbe esserci già giovedì. Vucevic, che si è recato al confine con il Kosovo, ha detto che Belgrado è pronta a inviare le forze in qualsiasi momenti: “La Serbia, a causa della situazione sul terreno, chiede che venga attivata la clausola della risoluzione 1244 del consiglio di sicurezza dell’Onu, al fine di garantire la sicurezza dei serbi e delle loro proprietà, come pure delle chiese e dei monasteri ortodossi“. Un tema, quest’ultimo, particolarmente sentito dalla comunità locale, preoccupato dal sentirsi escluso dalla vita politica e sociale di Pristina.

La richiesta, che non verrebbe sicuramente approvata, rappresenterebbe in ogni caso una svolta di fondamentale importanza nella delicata situazione che vive il Kosovo, dal momento che la clausola che prevede questo tipo di schieramento non è mai stata applicata proprio per evitare qualsiasi potenziale confronto diretto tra cittadini kosovari e unità delle forze armate serbe, tanto più dopo l’indipendenza del 2008. E in questa fase, una domanda del genere (per altro già formalizzata anni prima che fosse dichiarata l’indipendenza di Pristina) verrebbe letta come un intervento militare della Serbia in un Paese indipendente e non più con le condizioni con cui fu scritta la risoluzione.

La diplomazia europea si è attivata per evitare che la crisi possa sfociare in una escalation dai confini oscuri. La ministra degli Esteri tedesca, Annalena Baerbock, ha confermato la netta contrarietà di Berlino a qualsiasi ipotesi di intervento. Una nota del ministero francese, invece, sottolinea la preoccupazione dell’Esagono per quanto sta accadendo tra Kosovo e Serbia chiedendo a entrambe le parti “grande moderazione” e “responsabilità” ed esortandole “a impegnarsi nel dialogo facilitato dall’Unione europea”. Sulla stessa linea il capo della diplomazia dell’Unione europea, Josep Borrell, che ha invocato ancora una tregua per evitare che possa sorgere ulteriore tensione e si interrompa il dialogo sostenuto proprio da Bruxelles e che sembrava essersi concretizzato in un accordo quantomeno sulla questione delle targhe kosovare imposte anche alla minoranza serba del nord. Mentre al termine del Consiglio Ue, il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ha detto: “Al Consiglio di oggi abbiamo fatto sentire forte la voce dell’Italia sui Balcani. Il nuovo governo vuole essere protagonista, l’Italia deve svolgere un ruolo importante per pacificare Kosovo e Serbia, vogliamo essere al fianco dell’Ue per contribuire in modo determinate alla pacificazione dei Balcani, bisogna calmare le acque, bisogna evitare iniziative unilaterali da una parte e dall’altra”.

Per adesso, è possibile che la tensione stia aumentando anche in virtù di un difficile negoziato più o meno sotterraneo tra le parti e che non trova soddisfazione da entrambi gli schieramenti. Possibile, ma non certo, che questo faccia parte di un complesso negoziato in cui si prova ad alzare l’asticella dello scontro per ottenere garanzie. In questo senso, i segmenti più nazionalisti in Kosovo, così come in Serbia, potrebbero sfruttare le condizioni per imporre le proprie posizioni soffiando sul caos e su possibili escalation di stampo etnico. E questo vale anche se si analizza come alcuni media locali stanno descrivendo la situazione così come le personalità più “populiste” delle parti coinvolte, sia vicine a Belgrado che legate al governo kosovaro.

Da parte di Pristina, fonti di Vecherne Novosti hanno riferito che il premier kossovaro, Albin Kurti, sarebbe pronto a mettere in campo ogni mezzo per porre fine alla protesta della comunità serba. Cosa che chiaramente è vista con preoccupazione da parte della minoranza serba, scattata dopo l’arresto di Dejan Pantic, ex agente serbo della polizia kosovara accusato dalla giustizia locale di avere ordito un assalto alla commissione elettorale del nord.

Da Belgrado, il presidente Aleksandar Vucic ha chiesto ai serbi del Kosovo di evitare qualsiasi tipo di violenza, rispettando in particolare l’azione di Eulex e dei contingenti Nato di Kfor. Belgrado, del resto, sa che il rapporto con l’Alleanza Atlantica e con l’Unione europea è un tassello fondamentale della propria strategia regionale, anche per poter accedere al sistema Ue. Petar Petkovic, capo dell’Ufficio governativo serbo per il Kosovo, ha addirittura smentito l’assalto alle pattuglie di Kfor o di Eulex perché non vi sarebbe alcun motivo di violenze da parte della comunità. Un modo per evitare accuse di fomentare pubblicamente le barricate e la resistenza interna al vicino meridionale: ma è chiaro che l’evocato intervento potrebbe essere la parola “fine” a qualsiasi strada moderata scelta da parte di Belgrado e sostenuta proprio dall’Unione europea.

Kfor, la forze Nato nel Paese guidata dal generale italiano Angelo Michele Ristuccia, è impegnata a evitare che la situazione possa diventare ancora più incandescente. Il timore è che possa arrivare la fatidica richiesta di Belgrado di inviare un contingente a protezione dei siti serbi e serbo-ortodossi, e che questo possa condurre inevitabilmente a un aumento delle tensioni in tutto il territorio del Paese balcanico.

Sul punto, interessante la posizione della Russia, unica potenza a sostenere pubblicamente le istanze serbe e la possibilità che Belgrado invii le sue unità a tutela della minoranza in Kosovo. Il portavoce della presidenza russa, Dmitry Peskov, ha ribadito ai giornalisti di essere dalla parte “dell’assoluta garanzia di tutti i diritti dei serbi del Kosovo e dell’osservanza di tutti gli obblighi assunti dalle parti in conformità con tutti gli accordi relativi a questa situazione”. Da Mosca hanno smentito qualsiasi contatto tra Vucic e il presidente Vladimir Putin, ma lo stesso Peskov ha sottolineato di “tenere molto alle nostre relazioni fraterne con i serbi e, naturalmente, vogliamo sinceramente che questa tensione si plachi il prima possibile”. Sul punto, l’ambasciatore russo in Serbia, Aleksandr Botsan-Kharchenko, ha usato toni molto duri, descrivendo la situazione “sull’ultima linea oltre la quale può verificarsi uno spargimento di sangue o una fase di confronto calda”.

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