Nella terza settimana di luglio si è assistito ad un deterioramento rapido e grave delle relazioni bilaterali fra Grecia e Turchia, che ha portato la tensione ad un livello mai così alto dall’incidente di Imia del 1996.

Da diversi mesi il piccolo paese balcanico è ostaggio delle politiche muscolari ed espansioniste di Recep Tayyip Erdogan, la cui massima espressione è stata la micro-invasione del 21 maggio, e l’immobilismo dell’Unione Europea ha infine convinto Atene a cercare appoggi al di fuori del Vecchio Continente. Dopo aver avviato un sodalizio con Israele, e iniziato un dialogo con l’Armenia, per il governo greco è arrivato il turno di cercare il riavvicinamento con la Russia.

Una settimana tesissima

La situazione nell’Egeo è incendiaria. Secondo un’indiscrezione pubblicata dal Bild, che è noto per essere il megafono dei servizi segreti tedeschi, nella serata di martedì 21 luglio si è rischiato che le tensioni fra Grecia e Turchia sfociassero in una guerra aperta. Il motivo del conflitto sfiorato sarebbe stata la decisione da parte turca di emettere un NAVTEX nell’area di Castelrosso, un’isola sotto sovranità greca che si trova a meno di quattro chilometri dalle coste dell’Anatolia.

Il NAVTEX, che è una nota di avvertimento marittimo, è stato pubblicato per avvisare i naviganti che si trovano nell’area fra Rodi, Scarpanto e Castelrosso che fino al 2 agosto sarà possibile che si imbattano nella presenza di tre navi battenti bandiera turca, Oruc Reis, Ataman e Cengiz Han. Le tre navi saranno impegnate in un’indagine sismica che è propedeutica alla preparazione di future esplorazioni alla ricerca di idrocarburi con finalità estrattive.

L’emissione della nota è l’ultimo di tanti gesti provocatori avvenuti nelle ultime settimane, durante le quali si è assistito in particolar modo ad un aumento degli sconfinamenti aerei e marittimi da parte turca nei pressi della stessa isola; azioni interpretabili come un tentativo di capire quale avrebbe potuto essere la reazione greca.

Nelle ore successive, la Grecia ha messo in stato d’allerta le proprie forze armate, mentre la Turchia ha richiamato con urgenza i propri militari in licenza estiva con l’obiettivo di avere una forza di dispiegamento rapido in caso di conflitto e la sua Marina militare ha dato il via ad una serie di prove di forza a ridosso di Castelrosso che ha coinvolto più di 17 navi. L’esito di quegli eventi sarebbe stata la guerra se la Merkel non fosse intervenuta, almeno stando a quanto raccontato dalle fonti del Bild.

Sebbene i media tedeschi stiano cercando di difendere l’operato della Merkel nella questione greco-turca, la verità è che l’improvviso muscolarismo di Erdogan avviene con un tempismo sospetto, ovvero a pochi giorni di distanza da una trilaterale ultra-segreta tenutasi a Berlino nella quale diplomatici turchi e greci hanno discusso di Mediterraneo orientale e isole contese, mentre i tedeschi hanno ricoperto il ruolo dei mediatori.

Alcuni indizi suggeriscono che turchi e tedeschi possano essersi seduti dalla stessa parte del tavolo: la notizia dell’evento è stata data dai media turchi, che ne hanno parlato in termini positivi, mentre il governo greco ha nascosto l’accaduto all’opinione pubblica ed è stato accusato dall’opposizione di nascondere l’esito dei negoziati. Inoltre, la Germania ha, sì, espresso solidarietà la Grecia, reiterando le minacce di sanzioni ad Erdogan e condannandone le provocazioni, ma lo ha fatto su richiesta del primo ministro Kyriakos Mitsotakis.

Un altro elemento di riflessione è il seguente: se la Turchia avesse violato in maniera così rapida e brusca i termini dell’accordo raggiunto durante il vertice, avrebbe perduto automaticamente il tradizionale sostegno tedesco, con il risultato ultimo di danneggiare il proprio interesse nazionale e perdere una delle poche voci amiche nell’Ue, senza dubbio la più influente.

La telefonata a Putin

Il pomeriggio del 22 luglio, a poche ore di distanza dalla guerra sfiorata, il primo ministro greco ha voluto parlare con il presidente russo, Vladimir Putin. I due hanno avuto una lunga telefonata durante la quale hanno discusso principalmente di tre temi: la riconversione in moschea di Santa Sofia, la sicurezza nel Mediterraneo orientale e la situazione in Libia.

Stando a quanto riporta il sito ufficiale del Cremlino, Mitsotakis ha tentato la carta della diplomazia del corteggiamento: ha promesso di approfondire le relazioni bilaterali, in particolare la collaborazione nell’industria, nella scienza, nell’economia e nella tecnologia, e ha posto l’enfasi sul prossimo arrivo del bicentenario dell’indipendenza della Grecia dall’impero ottomano, evento che fu possibile grazie all’intervento russo.

Come si legge sul sito, “le due parti hanno convenuto di mantenere ulteriori contatti”. Non è dato sapere come e dove potrebbe schierarsi la Russia in un eventuale conflitto fra Grecia e Turchia, ma potrebbe non essere così irrealistica la riesumazione dell’antico asse fra Atene, erede di Bisanzio, e Mosca, la Terza Roma.

La Grecia aderisce al regime sanzionatorio antirusso legato alla questione ucraina, e ha anche seguito la politica del patriarcato di Costantinopoli per quanto riguarda lo scisma ortodosso, ma il legame di affezione tra i due popoli resta elevato ed è nell’interesse di entrambi i paesi il contenimento dell’espansionismo neo-ottomano nel Vicino e Medio Oriente.

L’appello a Putin era solo questione di tempo e, infatti, giunge al termine di un semestre di mosse ben calibrate all’insegna di un solo obiettivo: la normalizzazione dei rapporti con Mosca. Tutto è cominciato con il ristabilimento dei contatti fra i rispettivi servizi d’informazione militare, funzionale allo scambio di soffiate riguardanti le azioni di Erdogan nella regione, al quale ha fatto seguito il ritorno della Grecia in Siria nello schieramento di Bashar al-Assad.

A inizio maggio, il governo greco ha nominato Tasia Athanassiou quale inviato speciale per la Siria del ministero degli Esteri, colmando un vuoto durato otto anni, ovvero dal 2012, quando Atene decise di interrompere ogni relazione diplomatica con Damasco su pressione dei partner occidentali. Uno sguardo al curriculum della Athanassiou è tutto ciò che serve per capire la valenza della mossa: è stata ambasciatrice della Grecia in Russia.

Complementare alla nomina della Athanassiou è stata la decisione di avviare i lavori per l’inaugurazione di una Camera Greco-Siriana a Salonicco, da inquadrare nel più ampio contesto di un’iniziativa ateniese mirante a costruire un partenariato bilaterale con Damasco nell’ambito degli affari marittimi. Le ripercussioni di una simile operazione sono evidenti: accerchiare la Turchia via mare con la benedizione della Russia.

Nel mese di giugno un altro messaggio eloquente è stato inviato all’indirizzo di Mosca: la firma di un contratto per l’approvvigionamento del gas di durata decennale fra il conglomerato industriale Mytilineos e Gazprom Export. Mytilineos aveva iniziato ad acquistare il gas di origine russa tre anni fa e da allora aveva preferito rinnovare di anno in anno gli accordi di fornitura; perciò la decisione di porre fine alla pratica degli acquisti su base annua in favore di un contratto decennale si offre a diverse interpretazioni.

Infine, all’indomani dello scoppio dell’escalation militare fra Armenia e Azerbaigian, il governo greco ha inviato una squadra di diplomatici a Yerevan in segno di solidarietà, comunicando l’intenzione di potenziare la collaborazione negli affari militari. Anche in questo caso, alla luce del rapporto simbiotico che lega Yerevan e Mosca da secoli, si è trattato di un messaggio diretto al Cremlino e di una mossa estremamente utile perché permetterebbe di dare una forma terrestre all’accerchiamento della Turchia, complementando e completando il cordone sanitario via mare che si sta rapidamente costruendo per mezzo dell’allineamento con Cipro, Egitto e Israele.

La chiamata Mitsatokis-Putin non giunge, quindi, inaspettatamente in quanto rappresenta la chiusura ideale di un cerchio il cui disegno è cominciato a inizio anno. La volontà di normalizzare i rapporti è palpabile e le agende estere dei due paesi condividono un comune interesse antiturco; le basi per una collaborazione sono quindi presenti, ma la decisione finale spetta a Mosca.

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