Quando nel 1979 l’ayatollah Khomeini ritornò dal suo lungo esilio, la “rivoluzione” iraniana venne fotografata come una reazione alla repressione dello scià: un rivoluzionario liberatore che avrebbe guidato Teheran nella lotta antimperialista, anche con l’apprezzamento, miope, dei think-thank libertari di mezzo mondo. Quella che poi si rivelò uno dei più importanti regimi teocratici dei nostri tempi fece dell’Iran un modello che mostrava il fallimento della logica occidentale e di quella socialista, ponendosi come un’alternativa ascetica, simbolo di riscatto. Ben presto la teocrazia iraniana si trasformò in una piovra, stringendo rapporti con tutti i sommovimenti in Medio Oriente, addestrando le proprie milizie in Libano, ponendosi a capo della riscossa sciita planetaria. Quaranta anni dopo, l’Iran ci prova ancora, candidandosi ad una leadership regionale soft, in maniera non dichiarata ma, nella sostanza, già in atto.
I punti di forza di Teheran
Oggi Teheran è infatti nell’agenda delle principali potenze mondiali: opera in maniera occulta nei principali teatri di guerra mediorientali, si rende protagonista del continuo braccio di ferro con Washington, ma soprattutto gestisce maliziosamente la minaccia nucleare. Nessun alleato dichiarato e tanti avversari regionali, l’Iran gioca sul filo della dichiarazione di guerra mostrando una profondità strategica che dimostra come la minaccia di costruire un arsenale nucleare sia ben più pericolosa dell’arma nucleare stessa. Ma questi non sono gli unici punti di forza del Paese: l’Iran è la nazione più grande del Medio Oriente, con un’estensione territoriale ed una posizione geografica in grado di far da ponte fra più mondi; è uno dei Paesi costieri che si affaccia sullo stretto di Hormuz, grande crocevia di traffici commerciali e di petroliere: controllare Hormuz vuol dire controllare l’oro nero. L’Iran ha dei governi dal pugno duro, tenaci, mai moderati: una sorta di boa constrictor che deve esercitare il controllo su una pluralità di masse e soggetti, impermeabile agli “sbalzi democratici”; ultimo ma non ultimo, l’Iran ora ha davanti a sé un’Iraq differente, ove esercitare, finalmente, la propria longa manus sciita.
Queste peculiarità permettono al regime di Teheran di diversificare la propria politica estera (e di difesa), attuando politiche di influenza e controllo in aree come la Siria, il Libano (Hezbollah) e l’Iraq (dove finanzia le milizie sciite) e di compartecipare alla destabilizzazione di Paesi come il Kuwait, il Baharain, lo Yemen (si pensi agli Houthi) e nella striscia di Gaza. Nonostante i numerosi sforzi, soprattutto americani, per indebolire economicamente la Repubblica islamica a suon di sanzioni e isolarla politicamente, l’Iran ha approfondito anche la propria capacità offensiva: ne sa qualcosa Israele, costantemente sotto la minaccia dell’accresciuta potenza militare iraniana a suon di missili (i temibili Fajr-5) e droni. Sfruttando strategicamente i tentativi di appeasement occidentale e le stesse primavere arabe, l’Iran utilizza partner non statali per raggiungere un mitico antico obiettivo: realizzare una mezzaluna sciita. Per farlo non ha disdegnato nemmeno rapporti fuori dal mondo sciita come nel caso dei talebani in Afghanistan o della jihad palestinese.
I pasdaran
Come viene realizzata questa rete paramilitare sovranazionale? Attraverso i miliziani Irgc (sepah-e pasdaran-e enqelab-e eslami), nati dopo la rivoluzione del 1979 per proteggere il regime teocratico, sono corpi ben addestrati che compiono operazioni di ogni genere sulla terra, in acqua e nei cieli. Poco dopo la loro nascita, i principali leader dell’Irgc diedero vita ad un’ulteriore organizzazione paramilitare, i Quds: poiché l’Iran non è in grado di schierare un esercito in grado di competere con i giganti come gli Stati Uniti, la Forza Quds ha adottato un approccio unico per proiettare il potere della nazione oltre i confini dell’Iran. Essa opera interamente nell’ombra, sostenendo gruppi terroristici e milizie straniere, impegnandosi in operazioni di guerra non convenzionali sotto forma di attacchi terroristici, omicidi e rapimenti: si tratta di ciò che oggi chiamiamo guerra asimmetrica. Nessuno sa quanti siano i miliziani Quds: il massimo di 50mila persone stimato dall’intelligence americana, infatti, rischia di essere fuorviante. Poiché un ruolo primario della Forza Quds è stabilire milizie amiche e forze di combattimento all’interno dei confini di altre nazioni, il numero totale della Forza Quds non riflette effettivamente le capacità di proiezione della forza del gruppo. Con operazioni che vanno dalla Siria al Venezuela, l’influenza dell’Iran su organizzazioni di combattimento vagamente affiliate in tutto il mondo rende il pericolo presentato dai Quds più difficile da quantificare rispetto alle unità militari convenzionali o anche non convenzionali.
I “ponti di terra”
Accanto a questa forza di guerrilla vi è poi la grande strategia terrestre: l’obiettivo di Teheran, infatti, è arrivare al Mediterraneo attraverso i famigerati “ponti di terra“. In Iran questo piano di corridoi terrestri, finalizzato a spostare persone e materiali, è stato ribattezzato “ponte dell’Imam Alì”, dal nome dell’erede di Maometto. In realtà, grazie anche al contributo delle ricostruzioni satellitari made in Usa del Center for Strategic and International Studies (che ha pubblicato uno studio chiamato “Impronta crescente dell’Iran”), i corridoi di terra sarebbero ben tre: uno attraversa Baghdad e poi la Siria, un altro passerebbe attraverso Baghdad e Al-Qaim al confine siriano e un terzo passerebbe attraverso Kirkuk e poi la Siria nord-orientale. Ma i corridoi potrebbero perfino aumentare ed allargarsi: con l’uscita degli Usa dalla Siria, infatti, l’espansione terrestre iraniana potrebbe infatti crescere.
L’Iran, dunque, si configura come un modello non solo nel mondo sciita, ma esercita un certo gradiente di fascinazione anche nel mondo sunnita. Si tratta di uno stato sovrano forte, che ha sviluppato una statualità ben definita così difficile da affermarsi nell’ambito della Umma islamica; allo stesso tempo, però, si è configurata come un esempio inossidabile di teocrazia, un modello che nessuna nazione a prevalenza islamica ha mai raggiunto. Con 80 milioni di abitanti ed un estensione di più un milione e mezzo di km quadrati, Teheran da anni è burattinaio militare occulto di decine e decine di rivolte e conflitti a bassa intensità, in grado di mettere sotto scacco l’intero sistema internazionale anche solo menzionando la questione nucleare. Al netto di una fortissima crisi economica e di una popolazione giovanissima soffocata dal regime, la missione di Teheran può dirsi, ormai, quasi riuscita.