“Eliminare le restrizioni autoimposte nei rapporti tra Stati Uniti e Taiwan”: è questo il titolo del comunicato diffuso dal dipartimento di Stato americano in data 9 gennaio e attribuito al segretario statunitense, Mike Pompeo. Con un’azione senza precedenti, l’amministrazione Trump ha sganciato una vera e propria bomba diplomatica che potrebbe compromettere le future relazioni tra il neo presidente Joe Biden e il governo cinese. Washington, infatti, ha di fatto stracciato le linee guida da sempre utilizzate per intrattenere i rapporti con Taipei.

Detto altrimenti, il filo rosso che legherà Stati Uniti e Taiwan sarà ancora più diretto. Piccolo problema: la Cina considera lo Stato taiwanese una “provincia ribelle”, nonché parte integrante del proprio territorio. Non a caso, l’atto americano è già stato letto dai cinesi come una provocazione, un chiaro tentativo di intromettersi nella sovranità di Pechino. Puntuale è arrivata la replica del Dragone.

“La risolutezza della Cina nel difendere la nostra sovranità e integrità territoriale è irremovibile”, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian. “Non permetteremo ad alcuna persona o forza di fermare il processo di riunificazione della Cina. Ogni azione che danneggia gli interessi chiave della Cina incontrerà un fermo contrattacco e non avrà successo”, ha aggiunto.

La mossa americana

Al di là del comunicato statunitense e delle ragioni storiche che legano Taiwan e Cina, che cosa cambierà adesso nei rapporti tra Stati Uniti e Taiwan? Nei fatti, poco o nulla. Ma, in termini mediatici, potrebbe cambiare tutto. Andiamo con ordine. L’intento dell’annuncio di Pompeo è chiaro fin dalle prime righe del comunicato: “Taiwan è una vivace democrazia e un partner affidabile degli Stati Uniti, eppure per diversi decenni il dipartimento di Stato ha creato complesse restrizioni interne per regolare le interazioni dei nostri diplomatici, membri di servizio e altri funzionari con le loro controparti taiwanesi. Il governo degli Stati Uniti ha intrapreso queste azioni unilateralmente, in un tentativo di accomodamento col regime comunista di Pechino Non più”.

Il comunicato precisa inoltre che le relazioni del ramo esecutivo con Taiwan dovranno essere gestite dall’American Institute in Taiwan (Ait), l’ambasciata di fatto a Taipei, senza scopo di lucro, come stabilito nel Taiwan Relations Act. Attenzione: questo non significa che Stati Uniti e Taiwan avvieranno relazioni diplomatiche ufficiali. La “One China Policy“, ovvero il principio secondo il quale esiste un solo stato sovrano sotto il nome di Cina (in contrapposizione con l’idea che ci siano due stati, la Repubblica popolare cinese e la Repubblica cinese, ovvero Taiwan), resta al suo posto.

Una trappola per Biden?

Alla luce di quanto detto, Taiwan resta dunque un “partner non ufficiale” degli Stati Uniti. Ma, grazie alla mossa americana, il dialogo tra l’isola e Washington sarà d’ora in poi molto meno vincolato da restrizioni di ogni tipo. Resta da capire come Joe Biden intenderà gestire questo “passaggio di consegne”. Nel caso in cui la Casa Bianca volesse spingere sulla questione taiwanese, avrebbe la strada spianata per lanciare una clamorosa provocazione alla Cina; se però il governo americano non dovesse sentirsela di alterare fragili equilibri – rischiando un conflitto armato – il comunicato di Pompeo avrà, se non altro, fluidificato i rapporti bilaterali tra Taiwan e Washington.

Vale la pena fare un’ulteriore riflessione: l’amministrazione Trump ha eliminato le restrizioni di propria spontanea volontà, senza prima avvisare Biden, oppure le due parti erano d’accordo sul da farsi? Possiamo fare soltanto delle ipotesi. La più probabile: che The Donald abbia intenzionalmente provato a mettere i bastoni tra le ruote agli uomini del suo successore. È anche possibile che l’azione fosse condivisa tra l’amministrazione uscente e i democratici, e che Pompeo abbia involontariamente offerto un assist ai rivali di Trump. Certo è che tutti gli indizi portano a Taiwan: qui, nel 2021, potrebbero davvero decidersi gli equilibri geopolitici globali.

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