In vista dell’investitura ufficiale a candidato democratico alla Casa Bianca l’ex vicepresidente statunitense Joe Biden dovrà presto annunciare il suo running mate, ovvero il candidato per la vicepresidenza che lo affiancherà nella sfida a Donald Trump Mike Pence. Come ricordato da Thomas Falk su queste colonne, molto probabilmente la scelta sarà al femminile: Biden sarà affiancato da una donna democratica e sta vagliando un’ampia rosa di possibili candidate.

Anche se la senatrice radicale del Massachusetts Elizabeth Warren sembra essersi eclissata dalla sfida, promessa a un ben più pesante scranno al Dipartimento del Tesoro in caso di vittoria, la rosa dei nomi resta estremamente eterogenea. Tra esponenti del mondo civico (come il sindaco afroamericano di Atlanta Keisha Bottoms), politiche con esperienze nel movimento dei diritti civili (come la deputata della Florida Val Demings) e ex sfidanti alle primarie (Kamala Harris) un nome sembra però essersi fatto strade a spallate in queste settimane, forte di un contatto diretto con Biden e di uno sponsor di eccezione, Barack Obama. Stiamo parlando dell’ex consigliere alla sicurezza nazionale ed ex ambasciatrice alle Nazioni Unite Susan Rice.

Un’obamiana di ferro

Repubblica così presenta le credenziali che farebbero della navigata funzionaria, ex sottosegretario al Dipartimento di Stato ai tempi di Bill Clinton, una candidata vicepresidente solida: “Afroamericana, 55 anni” la Rice era parte del gabinetto di Barack Obama “quando Biden era suo vice. I due hanno già collaborato in passato e sono buoni amici. Ha il difetto di non aver mai condotto una campagna elettorale, ma in tempi anomali come questi, dove comizi e town hall – gli incontri dove si risponde alle domande con gli elettori – sono esclusi, la sua serietà ne fa certamente una dei candidati più solidi”.

La nomina della Rice a vicepresidente avrebbe dirompenti effetti politici sulla campagna elettorale di Biden. Sotto certi punti di vista, consentirebbe di riportare nell’alveo dell’establishment democratico le richieste di bandiera di un folto gruppo di attivisti politici e per i diritti civili, sostenute da im Clyburn, il leader della maggioranza dem alla Camera, che premono per la nomina di una candidata donna ed afroamericana per cavalcare l’onda delle proteste seguite alla morte di George Floyd. Questo consentirebbe di annacquare e riequilibrare il peso assunto nella campagna elettorale di Biden dalle posizioni di sinistra radicale incarnate dalla Warren e da Bernie Sanders, di cui l’ex senatore del Delaware ha sposato le politiche in materia di diritto fallimentare e istruzione e che potrebbero pesare molto in campi come la lotta alle disuguaglianze e la transizione energetica.

Ma soprattutto – ed è questo il tratto saliente della possibile nomina – la scelta di Susan Rice porterebbe de facto Obama di nuovo nella stanza dei bottoni. Come ha scritto Linkiesta, David Ignatius, editorialista del Washington Post e grande esegeta del potere di Washington, dice che quello che Rice dice ad alta voce è molto spesso quello che Obama pensa in privato”, per effetto di una lunga collaborazione e di una consolidata partnership politica che ha avuto modo di plasmarsi soprattutto sulla politica estera.

Ritorno all’interventismo liberal?

In campo internazionale, infatti, la Rice è figlia del suo tempo: educata all’Università di Stanford forte di un dottorato nella prestigiosa sede del New College di Oxford, cresciuta politicamente alla corte dei Clinton e scottata in prima persona dall’incapacità della sua prima amministrazione di riferimento di intervenire per risolvere il genocidio in Ruanda l’ex consigliera di Obama è una delle maggiori rappresentanti dei “liberal interventisti”, ovvero degli esponenti dell’area progressista del mondo democratico che mantengono una linea favorevole all’uso della forza e della politica di potenza in ambito internazionale per promuovere, ufficialmente, cause come la tutela dei diritti umani e la sicurezza collettiva. Fazione complementare ai “messianici” e retorici neoconservatori, a cui sono de facto accomunabili per le scelte di politica estera.

Dopo lo scoppio della guerra civile in Libia nel 2011 Susan Rice ha sposato completamente la linea dell’allora Segretario di Stato Hillary Clinton, favorevole a un’azione militare per detronizzare Muammar Gheddafi, e nel suo ruolo di ambasciatrice all’Onu ha portato avanti un serrato round di negoziazioni per ampliare il fronte del contenimento al Colonnello, supportata da un’altro “falco” al femminile, il membro del Consiglio per la Sicurezza Nazionale e suo successore al Palazzo di Vetro Samantha Power. Il trio Clinton-Rice-Power, riporta Mario del Pero in Era Obama, ebbe un ruolo decisivo nel piegare le resistenze di Obama e del segretario alla Difesa Robert Gates, aprendo la strada all’attacco a Gheddafi. Due anni dopo, in seguito alla nomina della Rice alla guida del National Security Council nel secondo mandato di Obama, il falco repubblicano John McCain aveva visto nella scelta della funzionaria l’inizio della possibilità di forgiare un’alleanza trasversale per promuovere un intervento in Siria.

Un duo Biden-Rice darebbe vita a un’amministrazione molto simile a quella di Barack Obama: l’impegno profuso dall’ex presidente afro-americano per il suo compagno di strada Joe Biden nell’attuale campagna è senza precedenti per un ex inquilino della Casa Bianca, e sarebbe logico pensare che Obama voglia come dividendo politico la possibilità di influenzare indirettamente la politica a stelle e strisce. La scelta di Rice sarebbe dunque politicamente coerente, ma certificherebbe la debolezza della posizione di Biden, che potrebbe ritrovarsi alla Casa Bianca sull’onda di una serie di circostanze favorevoli e trovarsi a dover dipendere da poteri esterni, molto forti nel suo partito di provenienza, per governare nel suo mandato.

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