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Un nuovo scandalo sessuale, questa volta in Sud Sudan, colpisce i caschi blu dell’Onu. L’ennesimo caso di sfruttamento di prestazioni sessuali da parte dei soldati impegnati in operazioni di peacekeeping. David Shearer, capo della missione Onu nel Paese, ha definito questo (ancora presunto) scandalo una “chiara violazione del codice di condotta, che proibisce relazioni sessuali con persone vulnerabili”. Ma le Nazioni Unite si sono mosse, sia a New York sia in Sud Sudan e sembra che, purtroppo, ci sia di nuovo tutto per far uscire l’ennesimo scandalo, terribile, che vede coinvolte le truppe Onu.

Come riporta l’agenzia Reuters, “la missione di peacekeeping dell’Onu in Sud Sudan ha richiamato un’unità di polizia ghanese che lavora in uno dei suoi campi di protezione mentre indaga sulle accuse secondo cui alcuni di loro sarebbero stati coinvolti in abusi sessuali”. Secondo le informazioni comunicate dal comando di Unmiss, i vertici della missione delle Nazioni Unite richiamato a Juba 46 membri di un’unità di polizia militare che lavora nel campo di Wau, dopo l’avvio di un’indagine nata dopo le denunce delle donne del campo.

” Questa è una chiara violazione del Codice di condotta Onu e Unmiss che proibisce le relazioni sessuali con individui vulnerabili, inclusi tutti i beneficiari di assistenza “, ha affermato Shearer. “Unmiss ha informato il quartier generale della U.N. di New York delle accuse, che a loro volta hanno comunicato allo Stato membro che la questione era oggetto di indagine da parte delle Nazioni Unite. Non vi è alcuna indicazione che questo comportamento sia più diffuso all’interno della Missione “.

Le Nazioni Unite hanno sei siti di protezione civile in tutto il Sud Sudan e ospitano circa 205mila persone. La missione Unmiss ha oltre 17mila membri del personale di peacekeeping, tra cui 13mila soldati e 1500 agenti di polizia. Un contingente importante per una missione estremamente complicata. Dall’indipendenza del Sud Suda, il Paese è stato coinvolta in una durissima guerra civile che visto migliaia di morti e centinaia di migliaia di profughi. E i caschi blu sono intervenuti per fermare questa diaspora.

Ma l’intervento Onu non è mai stato privo di critiche e di denunce. E quest’ultimo scandalo è solo l’ennesimo episodio di una missione nata, si può dire, col piede sbagliato. Come riporta Il Tempo, “un articolo del Daily Telegraph, anni fa parlò di funzionari che chiedevano prestazioni sessuali a minori in cambio di cereali”. Un episodio orrendo, sfruttare sessualmente i minorenni in cambio di qualche sacco di farina. Ma anche senza scendere nell’abisso degli scandali sessuali, anche un episodio del 2016 fu indicativo di una mancanza di onorabilità di alcune forze coinvolte nella missione. Nel luglio 2016, all’hotel Terrain di Juba, un gruppo di miliziani Dinka entrarono nell’albergo dove c’erano molti cooperanti di ong e volontari. Una volta entrati nella struttura, i Dinka si lasciarono andare a violenze e abusi. I cooperanti lanciarono l’allarme, ma, secondo una ricostruzione dell’Associated Press, i caschi blu lasciarono liberi i miliziani per ore prima di intervenire, permettendo che si dedicassero a stupri e ogni genere di nefandezza.

Il Sud Sudan è al centro, in questi giorni, di un vero e proprio scoperchiamento del vasi di Pandora degli orrori di quella guerra civile, dove ong, caschi blu, soldati dell’esercito e miliziani si sono dedicati a ogni tipo di abuso e violenza. Lo scandalo della Oxfam ha mostrato che i volontari della ong drogavano e stupravano le donne, le stesse colleghe cooperanti, in un sistema di omertà che ha scosso profondamente l’opinione pubblica mondiale. Ma quello che fa ancora più orrore, sono le accuse che sono rivolte dall’Onu a una quarantina di ufficiali dell’esercito, accusati di crimini di guerra per azioni orribili che si fa fatica anche a riportare. Stando ai funzionari per i dritti umani, i crimini di guerra riguarderebbero non solo l’orrore della violenza sessuale, ma anche il forzare ad assistere allo stupro delle proprie madri o costringere i minorenni a partecipare alle violenze a pena di morte. Una barbarie raccapricciante che dimostra l’ipocrisia delle lotta sui diritti mani quando riguardano guerre che non interessano alle superpotenze.

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