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Più il tempo passa e più l’influenza della Cina in Africa cresce. Dal 2005 al 2018 Pechino ha investito nel Continente nero la bellezza di 299 miliardi di dollari, ai quali ne vanno aggiunti altri 60, frutto di recenti accordi. Una marea di soldi, quella proveniente dall’Asia, che secondo qualcuno avrebbe trasformato gli Stati africani in dependance del Partito Comunista cinese. Il Dragone rifiuta questa lettura e sostiene di creare un rapporto win-win, funzionale al progetto della Nuova Via della Seta voluto da Xi Jinping, ma utile anche per il miglioramento dell’economia dei governi locali.

Terre rare e minerali

Gli Stati Uniti hanno capito tardi di essere stati surclassati dai cinesi. Due sono i motivi che hanno spinto la Cina a investire in Africa: portare i Paesi africani nella propria sfera d’influenza e assicurarsi canali esclusivi nell’approvvigionamento di materiali fondamentali nella corsa allo sviluppo tecnologico del futuro. Sulla lista di Pechino troviamo terre rare e minerali necessari per la costruzione di batterie ed altri elementi riguardanti il settore delle auto elettriche, oltre che smartphone e tanti altri beni di consumo. Washington non ha avuto la stessa lungimiranza della Cina e adesso si trova a rincorrere un avversario temibile.

La risposta degli Stati Uniti

Meglio tardi che mai, certo, ma adesso il gap da colmare con la Cina è piuttosto marcato. In ogni caso, come ha fatto notare Al Jazeera, gli Stati Uniti hanno aumentato gli investimenti in Africa con l’obiettivo di contrastare l’influenza cinese nell’intera regione. Il progetto della Casa Bianca è stato illustrato in occasione del Business USA-Africa, un vertice che si sta svolgendo proprio in questi giorni (18-21 giugno) a Maputo, in Mozambico, e al quale hanno partecipato undici capi di Stato e più di 1.000 uomini d’affari. Gli Stati Uniti hanno atteso questa occasione per annunciare lo stanziamento di 60 miliardi di dollari da investire nel territorio africano per contrastare lo yuan cinese. Le operazioni dipenderanno dall’U.S. International Development Finance Corporation (Dfc), un’agenzia governativa che ha più che raddoppiato l’ammontare disponibile precedentemente impiegato dall’Overseas Private Investment Corporation (Opic) e dal Development Credit Autority (Dca).

Due modelli a confronto

Trump ha capito che in Africa gli Stati Uniti non potevano più permettersi di lasciare carta bianca alla Cina, e per questo ha spinto per offrire ai Paesi africani un’alternativa al salvagente lanciato da Xi Jinping. Washington ha intenzione di aiutare i governi locali a non diventare vittime della cosiddetta trappola del debito e offrire loro interessanti prospettive, fra cui progetti
di sviluppo guidati dal settore privato finanziariamente sostenibili nel lungo periodo. Il tutto condito da contratti trasparenti e con un occhio di riguardo agli impatti economici, ambientali e sociali. La sfida alla Cina è lanciata. Adesso bisognerà vedere cosa deciderà di fare l’Africa: il Continente Nero sposerà il modello cinese o quello americano? Ma soprattutto chi vincerà la corsa all’approvvigionamento delle nuove risorse strategiche? Per il momento la Cina è in vantaggio ma Trump ha intenzione di mettere la freccia per il sorpasso.

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