Difficilmente le alleanze sui campi di battaglia rispecchiano concrete simpatie tra gli attori internazionali che spesso, infatti, tendono a intrattenere relazioni paragonabili a quella che si potrebbe definire un’amicizia forzata. È questo il caso di Stati Uniti e Turchia, i cui leader si trovano ora ad affrontare un braccio di ferro sulla questione relativa alla detenzione del pastore Andrew Brunson – specchietto per le allodole – che non rispecchia la loro vicinanza in un terreno cruciale come quello del palcoscenico siriano.
Braccio di ferro che – dopo le sanzioni americane a danno della Turchia e il conseguente crollo della lira turca – ha portato Recep Tayyip Erdogan, il 20 agosto, a invocare l’intervento della World Trade Organization, come si può leggere nel dettaglio sul sito della Wto.
Mentre prosegue il testa a testa tra il presidente statunitense Donald Trump e quello turco Erdogan che stanno portando le relazioni tra i due Paesi ai minimi storici, sembra che si sia trovata una soluzione per sciogliere uno dei nodi più spinosi del rapporto turco-americano nel caotico contesto del conflitto siriano, ovvero la posizione della Casa Bianca nei confronti dei curdi.
A maggio 2017 raccontavamo su Gli Occhi della Guerra della scelta dell’amministrazione Trump di rifornire di armi pesanti le milizie curde con l’obiettivo di velocizzare le operazioni per la liberazione di Raqqa, motivo che ha spinto gli Stati Uniti a rifornire le milizie curde Ypg anche con mortai da 120mm e veicoli corazzati leggeri. Erdogan ha tentato di evitare in ogni modo che i curdi conquistassero quella che veniva considerata la capitale dello Stato islamico in Siria, ma la volontà di Washington sembrava chiara: Raqqa doveva essere liberata dai curdi che poi ne avrebbero dovuto prendere il controllo così da consolidare definitivamente la loro presenza e autorità nel Rojava, di cui gli americani avevano intenzione di servirsi.
Erdogan però non poteva accettare che i curdi consolidassero la loro autorità al confine meridionale della Turchia con la Siria e così il 20 gennaio ha lanciato l’operazione “Ramoscello d’olivo” contro l’Unità di protezione del popolo. Il 18 marzo le forze turche insieme ai gruppi ribelli hanno preso il controllo di Afrin massacrando 1500 curdi e mettendo a ferro e fuoco la città. Il 24 marzo, invece, arriva la notizia del ritiro delle milizie del Pkk dalla città di Sinjar, in Iraq, e dalle zone limitrofe per scongiurare un intervento militare turco nell’area. Mercoledì 27 marzo attraverso il segretario alla Difesa degli Stati Uniti James Mattis – durante una conferenza stampa tenuta al Pentagono – Washington ha sollevato ogni dubbio rispetto alla sua posizione nei confronti delle azioni di Erdogan: “Gli Usa sono al fianco della Turchia contro le milizie curde del Pkk dovunque ci sia una chiara minaccia per Ankara”. Al momento gli avamposti di maggiore interesse per la Turchia sono l’area del Sinjar, in Iraq, e Manbij, in Siria, a 30 chilometri a nord di Aleppo e dove al momento si trovano anche le truppe statunitensi che Ankara chiedeva di ritirare così da poter proseguire indisturbata la sua avanzata.
Il segretario di Stato americano Mike Pompeo e il ministro degli esteri turco Mevlut Cavusoglu hanno trovato una soluzione che, per ora, ha interrotto le richieste di Ankara nei confronti di Washington di ritirare le proprie truppe nella Siria settentrionale.
La soluzione trovata dai due esponenti delle potenze impegnate nel conflitto siriano dovrebbe portare nei prossimi mesi all’instaurazione di un’amministrazione militare nel nord della Siria mentre, per ora, le truppe dei due Paesi hanno già avviato pattugliamenti congiunti per assicurarsi il controllo del territorio in vista della fine della guerra.
L’addestramento dei reparti turchi e statunitensi che saranno dispiegati a Manbij, ha dichiarato Mattis, “si svolgerà in Turchia”. Il piano concordato da Pompeo e Cavusoglu potrebbe risolvere uno degli elementi che più ha creato attrito tra Stati Uniti e Turchia in questi ultimi anni, ma la situazione tra i due Paesi alleati nella Nato dal 1952 rimane più tesa che mai. Per ora ad Ankara e a Washington conviene stringere la loro alleanza all’interno dei confini siriani facendo buon viso a cattivo gioco: ma chissà quanto durerà.