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Gli Stati Uniti stanno creando una coalizione internazionale per bloccare tutte le navi dirette verso la Corea del Nord e sospettate di violare il blocco sull’esportazione di petrolio. La notizia è stata data da alcuni alti ufficiali del Pentagono al Wall Street Journal. Ed è un annuncio che getta nuovi dubbi sulla realtà della distensione nella penisola coreana.

Secondo le fonti del quotidiano americano, la coalizione di Stati pronti a intervenire al largo delle coste nordcoreano sarebbe composta da Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Giappone, Nuova Zelanda, Canada e Corea del Sud. È il blocco degli alleati Usa nel Pacifico, più Londra, con cui Washington condivide ormai in maniera sempre più stretta ogni obiettivo strategico, anche nel Mar Cinese Meridionale.





La missione, che potrebbe partire a breve e che si dovrebbe avvalere di forze aeree e navali di tutti e sette i Paesi coinvolti, avrà come centro di comando la Uss Blue Ridge, alla fonda nel porto di Yokosuka, in Giappone. Ed è un segnale chiaro di come gli Stati Uniti, con Donald Trump in testa, siano intenzionati a perseguire il blocco navale nei confronti di Pyongyang  nonostante la ricerca di una tregua o di una sorta di pacificazione con Kim Jong-un.

Il vertice di Singapore c’è stato. E il leader nordcoreano ha ottenuto un credito internazionale senza precedenti. Ma l’evoluzione del programma nucleare non sembra essere tale da permettere di allentare le sanzioni. E la mancanza di azioni concrete da parte di Pyongyang sta destando sospetti tra gli analisti americani, sudcoreani e giapponesi. John Bolton, consigliere per la Sicurezza nazionale, è stato chiaro, ad agosto, riferendosi alla Corea del Nord.

Intervistato da Fox News, Bolton aveva espresso l’idea della presidenza Usa: volevano azioni concrete da parte del governo di Pyongyang. Solo questo avrebbe cambiato il modus operandi del Pentagono. E fino ad ora, le analisi sulle operazioni di Kim riguardo allo smantellamento del programma atomico non sembrano andare nella direzione indicata dalla Casa Bianca.

E adesso si torna a parlare di una sorta di blocco navale contro la Corea del Nord come ennesimo gesto di pressione nei confronti del Paese asiatico. Una pressione che però rischia di rivelarsi controproducente. Le sanzioni sul petrolio, che hanno già piegato l’economia nordcoreana e, in particolare, la vita di milioni di cittadini, sono state da sempre considerate da Kim una vera e propria azione di guerra. Il leader di Pyongyang ha più volte denunciato il blocco al greggio come un cappio nei confronti della Corea del Nord. E la reazione di un governo come quello nordcoreano non  è mai scontata.

D’altro lato, non va neanche sottovalutato un secondo profilo concernente questa sorta di coalizione di volenterosi. E cioè che questi Stati rappresentano tutti alleati degli Stati Uniti e, in generale, potenze rivali o comunque non particolarmente affini alla Cina. Negli ultimi mesi la tensione fra Pechino e Washington è aumentata. E la minaccia che la guerra dei dazi si trasformi anche in un’escalation militare in aree contese del Pacifico è molto elevata.

La flotta americana e quelle delle forze alleate di tutto il mondo hanno spesso solcato le acque del Mar Cinese Meridionale come sfida nei confronti delle idee di Pechino sulla sovranità di quel mare. E le esercitazioni cinesi vicino Guam unite alle recenti tensioni con Taiwan sono oggetto di preoccupazione da parte degli Stati Uniti.

Le due potenze, divise dall’oceano Pacifico, si trovano a fronteggiarsi su diversi fronti. E la penisola coreana è stata da sempre una delle aree di maggiore scontro fra i due Paesi. Il governo statunitense ha più volte accusato Cina e Russia di violare le sanzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contrabbandando petrolio verso la Corea del Nord. Il Dipartimento del Tesoro pubblicò foto di imbarcazioni cinesi sospettate di trasferire barili di greggio in alcune navi nordcoreane. E una compagnia russa è stata accusata di fare lo stesso dall’Estremo Oriente russo. 

La presenza di aerei e navi davanti alle coste cinesi, non solo delle forze degli Stati Uniti, ma anche di tutti i partner di Washington nel Pacifico, indica che la tensione potrebbe salire di nuovo in un’area che, in quest’ultimo periodo, sembrava essersi tranquillizzata. Ma nel grande gioco fra l’impero cinese e quello americano, ogni area contesa diventa uno strumento di pressione non solo sul Paese direttamente coinvolto, ma sulla potenza che ne detiene il controllo.

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