I sovranisti rischiano una battuta d’arresto e il motivo potrebbe non essere politico, ma giudiziario. Perché sono tre i partiti a destra del Partito popolare europeo che possono subire una battuta d’arresto a causa di alcuni terremoti che stanno scuotendo in maniera molto profonda la stabilità di questi partiti. E che inevitabilmente potrebbero anche colpire le capacità del blocco sovranista di incunearsi come terzo gruppo fra Alde e Macron, socialisti e Partito popolare europeo, tanto da cambiare il quadro dei rapporti di forza successivi al voto del 26 maggio.
Il primo è indubbiamente il caso che ha sconvolto l’Austria e cioè il cosiddetto Ibizagate. Il video in cui il vice cancelliere Heinz-Christian Strache è apparso insieme a una donna russa mentre contrattava il possibile scambio di contratti pubblici e soldi con la “nipote” di un fantomatico oligarca si è trasformato in una pietra tombale per il governo di Sebastian Kurz, ma ha anche colpito in maniera durissima la credibilità del partito. La trattativa è stata una trappola, è evidente. Ma è anche vero che Strache si è lanciato nel negoziato, di fatto mostrando tutta la sua incapacità di resistere alla tentazione di ottenere soldi da parte di un industriale spacciato come vicino al Cremlino. E in ogni caso, l’avvenuto crollo del governo, la dimissione in blocco dei ministri Fpo e la fine della coalizione con un partito del Ppe (quello di Kurz) hanno provocato un inevitabile freno a livello mediatico e politico di un partito che poteva effettivamente puntare a un exploit elettorale.
L’Austria è stata solo il caso più eclatante. Ma non è certo l’unica. Perché mentre a Vienna ha iniziato a tremare (e poi cadere) l’asse Kurz-Strache, più a ovest, in Francia, è iniziato qualcos’altro. Perché Marine Le Pen, da qualche tempo, è stata messa sotto assedio per un viaggio di Steve Bannon a Parigi. L’ex stratega di Donald Trump è da sempre considerato una sorta di regista dietro il boom dei sovranisti o quantomeno il grande fautore e complice della loro ascesa e della loro unità di intenti. E adesso sono in molti in Francia ad accusarla di essere il “cavallo di Troia” di Donald Trump e di Vladimir Putin: accusa che caratterizza da lungo tempo chiunque provi a dire qualcosa contro l’Unione europea. Ma evidentemente il fantasma del Russiagate non ha cessato di comparire neanche fallito l’assedio della giustizia Usa. Le Pen si è dovuta difendere dicendo che Bannon è a Parigi per vendere una delle sue società a una banca francese e che “non ha nulla a che fare con la mia campagna”.
E passando la Manica, ora è Nigel Farage a essere di nuovo al centro delle attenzioni del Regno Unito. Dopo l’esperienza con Ukip, con cui ha portato Londra al voto per l’uscita dall’Unione europea, il leader degli euroscettici inglesi ha ricominciato a macinare consensi con il suo Brexit Party, che si candida a elezioni europee cui il Regno non avrebbe dovuto partecipare, facendolo con un unico obiettivo: portare l’euroscetticismo britannico all’interno del Parlamento europeo. Con queste premesse, il partito di Farage ormai veleggia su quote estremamente rilevanti, con alcuni sondaggi che addirittura lo danno superiore al 30 per cento dei consensi. Una rinascita che nessuno pensava potesse avvenire e che invece sembra ormai diventata una realtà quasi certa a cinque giorni dalle elezioni. Ma proprio adesso, arriva la scure di due controllo: quello della Commissione elettorale britannica, che ha annunciato di voler indagare a fondo sui finanziamenti per la campagna elettorale, e quello del Parlamento europeo. La Commissione britannica ha deciso di approfondire ogni finanziamento, anche minimo, nei confronti del partito di Farage. Mentre il Parlamento europeo sembra che possa iniziare già dal 4 giugno a riunire il comitato che deve controllare se il leader del Brexit Party ha violato o meno il codice di condotta dell’Eurocamera per finanziamenti illeciti. La proposta per l’avvio dell’inchiesta è partita da Catherine Bearder, una deputata liberale, dopo la notizia data da Channel 4 su un finanziamento cospicuo a Farage da parte di Arron Banks, promotore della campagna per il Leave.