Nell’era del sovranismo, il rapporto fra governi e banche centrali è sempre più complesso. La politica vuole riprendersi il controllo delle finanze dello Stato, della sua politica monetaria. E adesso sono molti gli esecutivi che, anche per motivi elettorali, hanno iniziato a colpire l’indipendenza delle banche centrali. Perché è chiaro che le promesse elettorali e le scelte economiche di un governo passano inevitabilmente anche per il controllo di questi istituti che hanno in mano un potere enorme e che spesso non coincide con le scelte strategiche della politica.
Come ricorda Il Sole 24 Ore, in questi mesi gli attacchi sono stati tanti nei confronti delle banche centrali. E hanno coinvolto numerosi governi in varie parti del mondo. In India, negli Stati Uniti, in Turchia, nell’Unione europea. Ma anche nel Regno Unito, dove esiste una forte coscienza di divisione dei poteri e di pesi e contrappesi che evitino che un’istituzione prenda il sopravvento, la politica ha iniziato a mettere i paletti sull’azione della Bank of England.
Quando il presidente Mark Carney ha parlato dei pericoli di una Brexit “disordinata”, il governo di Theresa May e il Parlamento britannico hanno protestato vivamente con lui per il fatto di essere intervenuto a gamba tesa in un processo politico che non è di sua competenza.
Ma la Bank of England è solo l’ennesimo caso di una pressione politica nei confronti di questi istituti. Donald Trump ha attaccato duramente la Federal Reserve di Jerome Powell per la decisione sul rialzo dei tassi di interessi. E il presidente degli Stati Uniti ha accusato la Fed di essere “impazzita”. Una presa di posizione del tutto rivoluzionaria per un presidente Usa, visto che difficilmente i leader americani hanno parlato in toni molto negativi delle decisioni della Fed. Ma è il simbolo che il campione del sovranismo (o populismo per i critici), Donald Trump, non ha più quel freno inibitore nei confronti della banca centrale come lo avevano i suoi predecessori.
Lo scontro è aperto: ed è inevitabile. Come spiega da Il Sole 24 Ore, “un dollaro forte, sostenuto dal ciclo di aumento dei tassi iniziato dalla Fed, non aiuta […] Trump a mantenere la promessa elettorale di azzerare il deficit commerciale”. Quindi è politica contro moneta: banche centrali contro governi. Istituti terzi contro scelte sovrane.
In Turchia, la situazione non è diversa. Nella tempesta che si è abbattuta su Ankara, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha detto che la radice dei mali dell’economia turca di questi mesi è nella decisione di rialzare i tassi d’interesse. Anche qui, una decisione presa dalla banca centrale. Come ha ricordato Bloomberg, il Sultano ha definito la leva dei tassi d’interesse uno “strumento di sfruttamento”. E proprio in quel momento, la banca centrale aumentava i tassi dal 17,75% al 24%. Per il governo turco si era trattata di una vera e propria sfida al potere politico da parte della Banca centrale. Erdogan aveva chiesto di abbassarli: l’istituto bancario ha fatto l’esatto opposto. Come Oltreoceano.
Una situazione per certi versi simile a quello che è avvenuto in Russia. Ma con la differenza che la decisione della Banca centrale (alzare i tassi dello 0,25%) è stata presa da un presidente, Elvira Nabiullina, che gode della piena fiducia di Vladimir Putin. Il governo russo non era favorevole al rialzo dei tassi nel momento di attacco al rublo: ma la Banca centrale ha comunque intrapreso questo strada.
Questa lotta fra banche centrali e governi non poteva non colpire l’Europa in un momento in cui l’Unione europea non fornisce risposte adeguate alla crisi finanziaria ed economica che soffoca il continente. E soprattutto in un momento di forte ascesa dei movimenti sovranisti. I partiti che puntano a governare gli Stati europei (e che in molti casi già governano) non vogliono che la Banca centrale europea vada in una direzione diversa da quella voluta dagli esecutivi eletti.
E non è un caso che, in queste settimane, il presidente Mario Draghi abbia lanciato l’allarme sull’indipendenza del suo istituto e delle altre banche centrali nazionali rispetto alla politica. Le istituzioni stanno cambiando: ma sta cambiando soprattutto la percezione della politica rispetto a questi istituzioni. Oggi le banche non sono più considerate un fattore di stabilità, ma una sorta di potere parallelo che lede le scelte sovrane di un governo eletto dal popolo. E questo è evidente in questa divergenza mondiale fra i nuovi governi e le banche centrali.
Ma la questione è molto più profonda. In un momento di forte richiesta di democrazia, di sfida degli elettorati alle élite, come si può risolvere questa disputa fra chi rappresenta la “tecnocrazia” e chi rappresenta il “popolo”? Lo scontro non solo è inevitabile, ma anche senza via d’uscita. A meno che una delle due parti non decida di cedere.
Quando Draghi dichiara, come a Francoforte il 26 ottobre, che “la Banca centrale non deve essere soggetta alla politica e deve essere libera di scegliere gli strumenti più appropriati per esercitare il proprio mandato”, come si fa a non far entrare in collisione queste parole con la voglia di sovranità che si eleva da tutta Europa? La sfida è solo all’inizio.